L’articolo svolge una riflessione sugli aspetti processuali controversi del giudizio “in via principale” che, a seguito della l. cost. n. 3 del 2001, ha assunto un ruolo particolarmente significativo nell’inveramento della riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione. La giurisprudenza costituzionale, nell’interpretazione della riforma e delle materie ha scelto, ove possibile, la linea della continuità rispetto al passato. Da un punto di vista processuale, dal saggio emerge come il giudice costituzionale sia rimasto sostanzialmente padrone del proprio giudizio, non solo interpretando in alcuni casi discrezionalmente forma e contenuto dei ricorsi, ma anche scindendo l’oggetto dei ricorsi e giungendo, in alcune circostanze, a modificare totalmente il thema decidendum, vanificando così il principio cardine di un processo tra parti, quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato. L’Autrice sottolinea inoltre come la Corte costituzionale non abbia sempre esaminato con lo stesso metro di giudizio le impugnazioni statali e quelle regionali, assumendo un atteggiamento di minor rigore sul rispetto dei requisiti processuali delle prime. Inoltre, si evidenzia come la Corte abbia disciplinato gli effetti temporali delle proprie decisioni consentendo, in nome del principio di continuità, di salvare temporaneamente discipline statali incostituzionali in attesa di eventuali futuri interventi regionali. Anche dalle scelte processuali della Corte sembra dunque potersi confermare la volontà del giudice costituzionale di limitare l’impatto della riforma “federalista” nell’ordinamento italiano, finendo così con l’esaltare gli elementi di continuità con il passato.

Le zone d'ombra nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale / M. D'Amico - In: Le zone d'ombra della giustizia costituzionale : i giudizi sulle leggi / [a cura di] R. Balduzzi, P. Costanzo. - Torino : Giappichelli, 2007 May 01. - ISBN 978-88-348-7309-0.

Le zone d'ombra nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale

M. D'Amico
Primo
2007

Abstract

L’articolo svolge una riflessione sugli aspetti processuali controversi del giudizio “in via principale” che, a seguito della l. cost. n. 3 del 2001, ha assunto un ruolo particolarmente significativo nell’inveramento della riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione. La giurisprudenza costituzionale, nell’interpretazione della riforma e delle materie ha scelto, ove possibile, la linea della continuità rispetto al passato. Da un punto di vista processuale, dal saggio emerge come il giudice costituzionale sia rimasto sostanzialmente padrone del proprio giudizio, non solo interpretando in alcuni casi discrezionalmente forma e contenuto dei ricorsi, ma anche scindendo l’oggetto dei ricorsi e giungendo, in alcune circostanze, a modificare totalmente il thema decidendum, vanificando così il principio cardine di un processo tra parti, quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato. L’Autrice sottolinea inoltre come la Corte costituzionale non abbia sempre esaminato con lo stesso metro di giudizio le impugnazioni statali e quelle regionali, assumendo un atteggiamento di minor rigore sul rispetto dei requisiti processuali delle prime. Inoltre, si evidenzia come la Corte abbia disciplinato gli effetti temporali delle proprie decisioni consentendo, in nome del principio di continuità, di salvare temporaneamente discipline statali incostituzionali in attesa di eventuali futuri interventi regionali. Anche dalle scelte processuali della Corte sembra dunque potersi confermare la volontà del giudice costituzionale di limitare l’impatto della riforma “federalista” nell’ordinamento italiano, finendo così con l’esaltare gli elementi di continuità con il passato.
Settore IUS/08 - Diritto Costituzionale
1-mag-2007
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