Il volume raccoglie i risultati di una pluriennale ricerca basata su varie fonti, da quelle di archivio alle interviste sul campo. Comprende diverse appendici documentarie. Rappresenta il primo lavoro organico sulla plurisecolare transumanza bovina lombarda dei bergamini/bergamì/malghees (basata sull'alpeggio e sullo svernamento con acquisto di fieno e uso di stalle e caseifici presso le aziende della Bassa) che ha svolto un ruolo cruciale nello sviluppo tra XV e XVI sec. della moderna struttura agricola ad indirizzo foraggero-zootecnico dell'Insubria. Un ruolo che ha poi progressivamente (secondo una traiettoria di sviluppo che è terminata nei sec. XIX e XX) interessato anche l'agricoltura della bassa pianura orientale e che ha conferito a regioni agrarie - dove ancora nel XIX sec. predominavano i buoi sulle vacche da latte - un carattere sempre più zootecnico, tanto da trasferire il fulcro della zootecnia e del caseificio lombardi dal "quadrilatero del latte" (tra Ticino, Po, Adda e linea risorgive) all'area bresciana-mantovana. Lo sviluppo zootecnico legato al ruolo dei transumanti è consistito nell'immissione di sempre nuovi imprenditori agricoli di matrice alpina (forti di un considerevole capitale bestiame ma anche di capitali monetari, competenze e reti di relazioni commerciali) nelle file della classe degli affittuari. Mentre la 'sedentarizzazione' degli ex transumanti (iniziata sin dai primordi nel XIV-XV secolo e proceduta sino ad oggi) procedeva ininterrotta nei secoli nuove leve di transumanti sorgevano tra le file degli allevatori stanziali delle valli che, raggiunto un numero di capi di bestiame non mantenibile in inverno con le scorte foraggere disponibili in loco, entravano anch'essi nel ciclo della transumanza. L'ultima ondata di neotransumanti si è verificata dopo l'ultima guerra. Questo apporto di 'forze fresche' ha conferito una forte dinamicità al settore zootecnico in Lombardia e ha garantito stretti nessi all'interno di una precoce filiera zoocasearia. Le industrie casearie sorte negli ultimi due decenni del XIX sec. in Valsassina e nel Lodigiano raggiunsero livelli di industrializzazione avanzata sia in termini di tecnologia che di organizzazione commerciale e di marketing già ai primi del novecento. Esse erano sorte in gran parte nell'alveo della comunità di pratica dei transumanti grazie a reti di relazioni e ad un accumulo di conoscenze e di capitale sociale centrato sull'asse che legava la montagna (la Valsassina in particolare) con l'area di Melzo-Gorgonzola, la Gera d'Adda, il Pavese. Tutte si basavano sull'apporto di tecnici e di maestranze provenienti dalle file dei bergamì e dei latè. Strettamente legata alla figura del transumante (bergamì, malghees) era quest'ultima figura ( laté, 'lattarolo'). I laté 'affittavano' il latte dai transumanti, da bergamì che anche in estate si trattenevano in pianura (cambiando spesso cascina), da piccolissimi allevatori stanziali o da fittavoli e lo gestivano assumendosi il rischio imprenditoriale. Se i bergamì erano spesso anche casari (lavorando il latte delle proprie vaccine) i laté mantenevano specularmente anche una piccola mandria da latte. Anche i casari che operavano alle dipendenze dei fittavoli, nei caselli annessi alle cascine, erano molto spesso di origine alpina. Essi agivano con larga autonomia, godevano di prestigio e ottimo trattamento economico ed erano addetti anche alla cura del bestiame (assistenza ai parti in particolare). Ciò a conferma dell'indissolubilità dei due ordini di competenze (allevatoriali e casearie) che caratterizzava la sfera dei bergamì. L'allevamento delle vacche da latte da parte di bergamì e, soprattutto, dei laté, era spesso affiancato anche da quello suino dal momento che queste categorie di allevatori potevano disporre di abbondanti quantità di siero di latte residuo della trasformazione casearia. Al siero venivano aggiunti sottoprodotti dell'industria molitoria che i fittavoli si impegnavano a conferire a bergamì e laté nell'ambito dei reciproci obblighi contrattuali (che prevedevano anche fornitura di legna da ardere, locali, alimenti). Nell'ambito della relazione tra agricoltori e bergamì, fondata sull'acquisto del fieno prodotto sul fondo (e che i contratti che legavano l'agricoltore alla proprietà vincolavano a consumare sul posto), il letame svolgeva un ruolo chiave. L'agricoltore non lesinava la fornitura di paglia per la lettiera del bestiame dei bergamì perché ne avrebbe ricavato prezioso concime organico. Gli investimenti in stalle e opere irrigue da parte della grande proprietà terriera, il capitale bestiame dei bergamì, le competenze di fittavoli e dei bergamì hanno consentito di implementare per secoli la fertilità dei terreni della pianura irrigue in una combinazione di risorse umane e naturali proveniente dalla montagna e di risorse cittadine e della pianura. Anche l'industria salumiera, in forza del ruolo svolto dai bergamì e dai laté nel decollo del moderno allevamento suino, ha una matrice largamente 'bergamina'. Così come le dinastie casearie valsassinesi hanno sviluppato innovazioni cruciali nel campo della rete distributiva e della pubblicità commerciale anche nell'alveo dell'industria salumiera i discendenti dei bergamì sono stati protagonisti di parallele innovazioni (vedasi il 'Negronetto', salame 'firmato' che nasce nel 1931). Di fronte a queste osservazioni e all'evidenza della presenza maggioritaria di cognomi di matrice alpina tra le file degli allevatori attuali della bassa Lombardia appare sconcertante che la transumanza bovina lombarda sia rimasta sino ad oggi oggetto di riferimenti occasionali, frammentarie descrizioni, quasi confinata in un ambito etnografico. Oltre al ruolo svolto dagli allevatori transumanti nel rafforzare le fila della classe dei fittavoli apportandole sempre nuova linfa, a quello - eclatante - nella nascita della moderna industria alimentare lombarda (e nazionale) non può non colpire l'imponenza di un fenomeno che ha interessato tutta la Lombardia oltre ad aree piemontesi ed emiliane, che - dopo la fase di incubazione della proto-transumanza 'mista' ovicaprina e bovina dei sec. XIII-XIV - è durato altri sei secoli, quasi sino ad oggi. Un'ampiezza spaziale (con transumanze sino a 200 km) e temporale (6-7 sec.) che fa della transumanza dei bergamì l'esempio più importante in assoluto di transumanza bovina da latte. Nel volume si affronta questo 'enigma storiografico' osservando come il ruolo e le figure dei bergamì siano state 'oscurate' per trasparenti motivi ideologici e di legittimazione sociale. Autori borghesi e marxisti hanno messo congiuntamente in ombra figure sociali che smentivano i loro schemi. In particolare un'interpretazione dello sviluppo sociale ed economico che vede il ruolo pressoché esclusivo del capitale e delle competenze organizzative e manageriali di un ceto di estrazione borghese e cittadina e non può che considerare 'eretico' un modello che riconosca un ruolo determinante a gruppi sociali che non corrispondono ad un modello dualistico (borghesia e proletariato) ma rappresentano una 'terza via' caratterizzata, fatto ancor più imbarazzante, al tempo stesso da dinamismo economico e imprenditoriale e dal più spudorato conservatorismo rappresentando un esempio di patriarcalismo e nomadismo nel cotesto dei una società moderna. Ammettere che figure rurali e, per di più, 'montagnine' possano scalzare un ceto rurale borghese (come hanno spesso fatto i bergamì nei confronti dei fittavoli) contraddice troppo apertamente troppe superstizioni progressiste (anche se per i mezzadri la storiografia ha dovuto già riconoscere un ruolo chiave nel sistema delle PMI dalla Brianza all'Adriatico). I bergamì sono anche esempi imbarazzanti per il sistema di conoscenza dal momento che il modello della trasmissione intergenerazionale di conoscenze tradizionali (all'interno di quella 'casta chiusa' deprecata degli intellettuali borghesi) è risultato a lungo efficace applicato sia alla pratica zootecnica che al caseificio, più efficace delle conoscenze veicolate in modo formale ed elaborate in ambito accademico. La dimostrazione è fornita dall'evoluzione della razza Bruna che, sotto l'influsso dei tecnici (e dei fittavoli) e dell'eccessiva ammirazione da loro prestata per i modelli formali svizzeri, ha finito per perdere con l'uso sistematico e obbligato dei tori svizzeri la buona attitudine lattifera che era stata fissata dalla selezione dei bergamini valsassinesi. La Bruna a duplice attitudine (con un'attenzione eccessiva alla produzione carnea) di impostazione svizzera ha aperto - sempre sulla base di scelte tecnocratiche calate dall'alto, le porte alla sostituzione con la razza Brown Swiss (esasperatamente lattifera e non adatta alle condizioni della montagna) a partire dagli anni '70 del secolo scorso. Anche la persistente capacità di autoinnovazione tecnologica nell'ambito di aziende casearie di matrice bergamina tende a confermare i caratteri di uno stile di impresa che trae linfa da una storia misconosciuta. Nell'ambito delle notazioni di carattere sociologico contenute nel volume non si manca di osservare come l'interesse e il riconoscimento per i bergamì e il loro ruolo nella storia economica e sociale della Lombardia sia sinora venuto - a riprova delle ragioni culturali e ideologiche della damnatio memoriae di cui sono stati fatto oggetto - solo da figure di recente o lontana origine bergamina. Il volume riporta le rotte di transumanza, descrive una 'geografia dei bergamì' che è anche la geografia casearia della Lombardia - costruita intorno ai centri di raccolta degli stracchini freschi e poi del latte prodotto dai bergamì in pianura (Martesana, Pavese, Lomellina, Corsico, Milano, Gera d'Adda, Novara, Rovato, Mantova, Brescia) e una 'geografia del bestiame' costruita intorno alle fiere autunnali di maggiore importanza nella fascia pedemontana e a quelle di 'secondo grado' dell'alta pianura nonché una prima mappa delle sedi di origine dei bergamì come premessa di ulteriori lavori che diano conto, in un vero e proprio 'Atlante' dei centri (spesso singole contrade e nuclei rurali nell'ambito di frazioni e comuni) da cui provenivano i transumanti con un catalogo di cognomi legati all'epopea della transumanza.

La civiltà dei bergamini : un'eredità misconosciuta : la tribù lombarda dei malghesi tra la montagna e la pianura dal quattordicesimo al ventesimo secolo / M. Corti. - Sant'Omobono Terme : Centro Studi Valle Imagna, 2014 Sep. - ISBN 978-88-6417-062-6. (GENTE E TERRA D'IMAGNA)

La civiltà dei bergamini : un'eredità misconosciuta : la tribù lombarda dei malghesi tra la montagna e la pianura dal quattordicesimo al ventesimo secolo

M. Corti
Primo
2014

Abstract

Il volume raccoglie i risultati di una pluriennale ricerca basata su varie fonti, da quelle di archivio alle interviste sul campo. Comprende diverse appendici documentarie. Rappresenta il primo lavoro organico sulla plurisecolare transumanza bovina lombarda dei bergamini/bergamì/malghees (basata sull'alpeggio e sullo svernamento con acquisto di fieno e uso di stalle e caseifici presso le aziende della Bassa) che ha svolto un ruolo cruciale nello sviluppo tra XV e XVI sec. della moderna struttura agricola ad indirizzo foraggero-zootecnico dell'Insubria. Un ruolo che ha poi progressivamente (secondo una traiettoria di sviluppo che è terminata nei sec. XIX e XX) interessato anche l'agricoltura della bassa pianura orientale e che ha conferito a regioni agrarie - dove ancora nel XIX sec. predominavano i buoi sulle vacche da latte - un carattere sempre più zootecnico, tanto da trasferire il fulcro della zootecnia e del caseificio lombardi dal "quadrilatero del latte" (tra Ticino, Po, Adda e linea risorgive) all'area bresciana-mantovana. Lo sviluppo zootecnico legato al ruolo dei transumanti è consistito nell'immissione di sempre nuovi imprenditori agricoli di matrice alpina (forti di un considerevole capitale bestiame ma anche di capitali monetari, competenze e reti di relazioni commerciali) nelle file della classe degli affittuari. Mentre la 'sedentarizzazione' degli ex transumanti (iniziata sin dai primordi nel XIV-XV secolo e proceduta sino ad oggi) procedeva ininterrotta nei secoli nuove leve di transumanti sorgevano tra le file degli allevatori stanziali delle valli che, raggiunto un numero di capi di bestiame non mantenibile in inverno con le scorte foraggere disponibili in loco, entravano anch'essi nel ciclo della transumanza. L'ultima ondata di neotransumanti si è verificata dopo l'ultima guerra. Questo apporto di 'forze fresche' ha conferito una forte dinamicità al settore zootecnico in Lombardia e ha garantito stretti nessi all'interno di una precoce filiera zoocasearia. Le industrie casearie sorte negli ultimi due decenni del XIX sec. in Valsassina e nel Lodigiano raggiunsero livelli di industrializzazione avanzata sia in termini di tecnologia che di organizzazione commerciale e di marketing già ai primi del novecento. Esse erano sorte in gran parte nell'alveo della comunità di pratica dei transumanti grazie a reti di relazioni e ad un accumulo di conoscenze e di capitale sociale centrato sull'asse che legava la montagna (la Valsassina in particolare) con l'area di Melzo-Gorgonzola, la Gera d'Adda, il Pavese. Tutte si basavano sull'apporto di tecnici e di maestranze provenienti dalle file dei bergamì e dei latè. Strettamente legata alla figura del transumante (bergamì, malghees) era quest'ultima figura ( laté, 'lattarolo'). I laté 'affittavano' il latte dai transumanti, da bergamì che anche in estate si trattenevano in pianura (cambiando spesso cascina), da piccolissimi allevatori stanziali o da fittavoli e lo gestivano assumendosi il rischio imprenditoriale. Se i bergamì erano spesso anche casari (lavorando il latte delle proprie vaccine) i laté mantenevano specularmente anche una piccola mandria da latte. Anche i casari che operavano alle dipendenze dei fittavoli, nei caselli annessi alle cascine, erano molto spesso di origine alpina. Essi agivano con larga autonomia, godevano di prestigio e ottimo trattamento economico ed erano addetti anche alla cura del bestiame (assistenza ai parti in particolare). Ciò a conferma dell'indissolubilità dei due ordini di competenze (allevatoriali e casearie) che caratterizzava la sfera dei bergamì. L'allevamento delle vacche da latte da parte di bergamì e, soprattutto, dei laté, era spesso affiancato anche da quello suino dal momento che queste categorie di allevatori potevano disporre di abbondanti quantità di siero di latte residuo della trasformazione casearia. Al siero venivano aggiunti sottoprodotti dell'industria molitoria che i fittavoli si impegnavano a conferire a bergamì e laté nell'ambito dei reciproci obblighi contrattuali (che prevedevano anche fornitura di legna da ardere, locali, alimenti). Nell'ambito della relazione tra agricoltori e bergamì, fondata sull'acquisto del fieno prodotto sul fondo (e che i contratti che legavano l'agricoltore alla proprietà vincolavano a consumare sul posto), il letame svolgeva un ruolo chiave. L'agricoltore non lesinava la fornitura di paglia per la lettiera del bestiame dei bergamì perché ne avrebbe ricavato prezioso concime organico. Gli investimenti in stalle e opere irrigue da parte della grande proprietà terriera, il capitale bestiame dei bergamì, le competenze di fittavoli e dei bergamì hanno consentito di implementare per secoli la fertilità dei terreni della pianura irrigue in una combinazione di risorse umane e naturali proveniente dalla montagna e di risorse cittadine e della pianura. Anche l'industria salumiera, in forza del ruolo svolto dai bergamì e dai laté nel decollo del moderno allevamento suino, ha una matrice largamente 'bergamina'. Così come le dinastie casearie valsassinesi hanno sviluppato innovazioni cruciali nel campo della rete distributiva e della pubblicità commerciale anche nell'alveo dell'industria salumiera i discendenti dei bergamì sono stati protagonisti di parallele innovazioni (vedasi il 'Negronetto', salame 'firmato' che nasce nel 1931). Di fronte a queste osservazioni e all'evidenza della presenza maggioritaria di cognomi di matrice alpina tra le file degli allevatori attuali della bassa Lombardia appare sconcertante che la transumanza bovina lombarda sia rimasta sino ad oggi oggetto di riferimenti occasionali, frammentarie descrizioni, quasi confinata in un ambito etnografico. Oltre al ruolo svolto dagli allevatori transumanti nel rafforzare le fila della classe dei fittavoli apportandole sempre nuova linfa, a quello - eclatante - nella nascita della moderna industria alimentare lombarda (e nazionale) non può non colpire l'imponenza di un fenomeno che ha interessato tutta la Lombardia oltre ad aree piemontesi ed emiliane, che - dopo la fase di incubazione della proto-transumanza 'mista' ovicaprina e bovina dei sec. XIII-XIV - è durato altri sei secoli, quasi sino ad oggi. Un'ampiezza spaziale (con transumanze sino a 200 km) e temporale (6-7 sec.) che fa della transumanza dei bergamì l'esempio più importante in assoluto di transumanza bovina da latte. Nel volume si affronta questo 'enigma storiografico' osservando come il ruolo e le figure dei bergamì siano state 'oscurate' per trasparenti motivi ideologici e di legittimazione sociale. Autori borghesi e marxisti hanno messo congiuntamente in ombra figure sociali che smentivano i loro schemi. In particolare un'interpretazione dello sviluppo sociale ed economico che vede il ruolo pressoché esclusivo del capitale e delle competenze organizzative e manageriali di un ceto di estrazione borghese e cittadina e non può che considerare 'eretico' un modello che riconosca un ruolo determinante a gruppi sociali che non corrispondono ad un modello dualistico (borghesia e proletariato) ma rappresentano una 'terza via' caratterizzata, fatto ancor più imbarazzante, al tempo stesso da dinamismo economico e imprenditoriale e dal più spudorato conservatorismo rappresentando un esempio di patriarcalismo e nomadismo nel cotesto dei una società moderna. Ammettere che figure rurali e, per di più, 'montagnine' possano scalzare un ceto rurale borghese (come hanno spesso fatto i bergamì nei confronti dei fittavoli) contraddice troppo apertamente troppe superstizioni progressiste (anche se per i mezzadri la storiografia ha dovuto già riconoscere un ruolo chiave nel sistema delle PMI dalla Brianza all'Adriatico). I bergamì sono anche esempi imbarazzanti per il sistema di conoscenza dal momento che il modello della trasmissione intergenerazionale di conoscenze tradizionali (all'interno di quella 'casta chiusa' deprecata degli intellettuali borghesi) è risultato a lungo efficace applicato sia alla pratica zootecnica che al caseificio, più efficace delle conoscenze veicolate in modo formale ed elaborate in ambito accademico. La dimostrazione è fornita dall'evoluzione della razza Bruna che, sotto l'influsso dei tecnici (e dei fittavoli) e dell'eccessiva ammirazione da loro prestata per i modelli formali svizzeri, ha finito per perdere con l'uso sistematico e obbligato dei tori svizzeri la buona attitudine lattifera che era stata fissata dalla selezione dei bergamini valsassinesi. La Bruna a duplice attitudine (con un'attenzione eccessiva alla produzione carnea) di impostazione svizzera ha aperto - sempre sulla base di scelte tecnocratiche calate dall'alto, le porte alla sostituzione con la razza Brown Swiss (esasperatamente lattifera e non adatta alle condizioni della montagna) a partire dagli anni '70 del secolo scorso. Anche la persistente capacità di autoinnovazione tecnologica nell'ambito di aziende casearie di matrice bergamina tende a confermare i caratteri di uno stile di impresa che trae linfa da una storia misconosciuta. Nell'ambito delle notazioni di carattere sociologico contenute nel volume non si manca di osservare come l'interesse e il riconoscimento per i bergamì e il loro ruolo nella storia economica e sociale della Lombardia sia sinora venuto - a riprova delle ragioni culturali e ideologiche della damnatio memoriae di cui sono stati fatto oggetto - solo da figure di recente o lontana origine bergamina. Il volume riporta le rotte di transumanza, descrive una 'geografia dei bergamì' che è anche la geografia casearia della Lombardia - costruita intorno ai centri di raccolta degli stracchini freschi e poi del latte prodotto dai bergamì in pianura (Martesana, Pavese, Lomellina, Corsico, Milano, Gera d'Adda, Novara, Rovato, Mantova, Brescia) e una 'geografia del bestiame' costruita intorno alle fiere autunnali di maggiore importanza nella fascia pedemontana e a quelle di 'secondo grado' dell'alta pianura nonché una prima mappa delle sedi di origine dei bergamì come premessa di ulteriori lavori che diano conto, in un vero e proprio 'Atlante' dei centri (spesso singole contrade e nuclei rurali nell'ambito di frazioni e comuni) da cui provenivano i transumanti con un catalogo di cognomi legati all'epopea della transumanza.
set-2014
transumanza; industria casearia; zootecnia lombarda; prealpi lombarde
Settore AGR/19 - Zootecnica Speciale
Settore AGR/01 - Economia ed Estimo Rurale
La civiltà dei bergamini : un'eredità misconosciuta : la tribù lombarda dei malghesi tra la montagna e la pianura dal quattordicesimo al ventesimo secolo / M. Corti. - Sant'Omobono Terme : Centro Studi Valle Imagna, 2014 Sep. - ISBN 978-88-6417-062-6. (GENTE E TERRA D'IMAGNA)
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