Oggi sappiamo che l’Olocene – gli ultimi diecimila anni di storia della Terra –, un tempo ritenuto un periodo caldo e stabile, è stato teatro di sensibili e talora repentine variazioni climatiche. L’ultima di queste, il riscaldamento globale in atto, ci fa riflettere sullo sviluppo futuro del clima sul pianeta e su quale ruolo in esso possa giocare l’attività dell’uomo. Molte preoccupazioni si addensano sul Mediterraneo; questa regione viene considerata particolarmente sensibile al riscaldamento globale di origine antropica che porterà alla riduzione dell’intensità piogge e ad un più frequente ripetersi di episodi siccitosi, intervallati da precipitazioni a carattere parossistico, con conseguenze facilmente immaginabili sulle popolazioni che vi risiedono. I margini meridionale ed orientale del Mediterraneo sono oggi occupati dai deserti del Sahara e del Medio Oriente, ma l’attuale aridità di quelle regioni è solo l’ultimo episodio di una storia più complessa che le vide ricche di acque, densamente popolate, nonché teatro di eventi cruciali per lo sviluppo delle civiltà. Durante gli ultimi diecimila anni le regioni aride circum-mediterranee sono state teatro di un cambiamento ambientale di rango paragonabile soltanto a quello che avvenne pochi millenni prima alle medie latitudini con la disintegrazione dei ghiacciai pleistocenici, con l’importante differenza data dal fatto che il repentino sviluppo dei deserti interessò una area densamente popolata. Tali aree pertanto costituiscono un eccellente laboratorio dove studiare i rapporti fra le variazioni climatiche e le culture antropiche che a queste hanno reagito, soccombendo o adattandovisi, oppure ancora, come oggi cominciamo a comprendere, contribuendo esse stesse in modo attivo ai cambiamenti ambientali, non sempre in modo positivo. Malgrado i numerosi studi effettuati anche di recente, le regioni aride permangono ancora poco note dal punto di vista paleoambientale, a causa della loro vastità e delle difficoltà di accesso (ancora persistenti malgrado gli enormi progressi consentiti in questi decenni dall’uso dei veicoli fuori strada) ed a causa degli eventi politici e sociali dei quali, ultimamente, abbiamo molti esempi. Illustrerò quindi la situazione del Sahara centrale per il quale si hanno oggi molte informazioni, cercando inoltre di stabilire un confronto con le zone aride medio-orientali, con particolare riguardo al deserto siriano, per il quale tuttavia le conoscenze sono ad oggi assai meno approfondite. Meccanismo climatico La scomparsa o l’attenuazione delle condizioni desertiche nella fascia subtropicale tra la fine del Tardiglaciale e l’Olocene, secondo un noto modello paleoclimatico, è stata determinata dal riassetto della circolazione atmosferica globale, innescato dallo scioglimento dei ghiacciai alle medie ed alte latitudini in seguito all’aumento dell’intensità dell’insolazione entrante. Durante il periodo glaciale infatti la zona di convergenza intertropicale (ITCZ) subiva fluttuazioni stagionali molto ridotte, poiché costretta alle basse latitudini basse dalle alte pressioni sull'Europa indotte dalla presenza delle masse glaciali; inoltre la ridotta evaporazione nell’Atlantico centrale permetteva la formazione di perturbazioni monsoniche di modeste entità. Con il loro dissolversi e la scomparsa dei campi di alta pressione ad esse connessi, la zona di convergenza intertropicale risalì verso Nord fino a raggiungere una latitudine N di circa 20-25°; questo permise al monsone estivo (alimentato da un maggiore evaporazione oceanica) di portare masse di aria umida e pioggia dal golfo di Guinea fino al Sahara centrale. Analoghi fenomeni si verificano sopra l’Oceano indiano permettendo alle precipitazioni monsoniche di penetrare profondamente nella penisola arabica e il medio Oriente, fino ad incrociarsi con l’area dominata dai venti occidentali. Come conseguenza dell’enorme aumento di disponibilità idrica, l’intero area dei deserti sahariani, arabici e mediorientali si trasformò in savane e steppe arborate. L’anomalia prodotta dalla scomparsa dei ghiacciai venne rapidamente riassorbita e nel giro di pochi millenni la circolazione atmosferica si assunse le condizioni attuali, sospingendo verso sud l’ITCZ e permettendo ai deserti di riguadagnare il terreno perduto dalla fine della glaciazione. Il Sahara libico La regione a Sud Ovest della Libia – il Fezzan – si è rivelata particolarmente ricca di testimonianze paleoambientali ed archeologiche, localizzate sia nelle catene montuose (le montagne dell’Acacus e del Messak), sia nei mari di dune che le circondano (edeyen di Murzuq, erg Uan Kasa, Titersine e Tanezzuft). Particolarmente significativi per la ricostruzione dei cambiamenti climatici dell’Olocene sono i depositi lacustri le cui tracce sono conservate nei corridoi interdunari. Tali depositi infatti testimoniano la presenza di numerosi specchi lacustri originatisi grazie alle piogge monsoniche che hanno saturato le dune e innalzato le falde freatiche locali, provocando estesi allagamenti alla base delle dune stesse. Soprattutto grazie ai sedimenti torbosi che segnano le linee di riva, spesso perfettamente conservate, è stato possibile ottenere un consistente numero di date radiocarboniche è stato possibile datare l’oscillazione del livello dei laghi e pertanto dei cambiamenti di intensità delle precipitazioni. Sulla base di tale ricostruzione il livello dei laghi appare in fase di crescita a partire da 8800 anni uncal BP (circa 10000 anni cal BP), subisce un sensibilmente abbassamento attorno a 7500 anni uncal BP (circa 8000 anni cal BP) in corrispondenza di una episodio di crisi climatica percepito in tutto l’emisfero settentrionale, e risale nuovamente tra 7000 e 5000 anni uncal BP (7800-5500 anni cal BP). Pochissime sono le date radiocarboniche di depositi lacustri per il IV e III millennio BP, e riferibili principalmente a depositi di tipo evaporitico. Pertanto il limite di 5000 anni uncal BP costituisce il termine post quem per il prosciugamento dei laghi, causato dalla diminuzione di precipitazioni conseguente al ritiro delle perturbazioni monsoniche verso sud; tale evento costituisce anche la fine del periodo umido Olocenico. Le vicende dello wadi Tanezzuft e dell’adiacente bacino lacustre di Garat Ouda, nonché lo studio dendroclimatico del Cipresso del Tassili (Cupressus dupreziana), che si trova nel suo bacino di alimentazione, permettono di meglio datare e comprendere la dinamica di questa importante transizione climatico-ambientale. Lo wadi Tanezzuft, corso d’acqua oggi solo sporadicamente attivo che si trova tra l’Acacus e l’erg Titersine, divenne, nell’Olocene umido, un fiume di portata elevata. In particolare una diramazione che usciva dal corso principale alimentava, attraverso un ampio delta, un lago della superficie di circa 80 Km2, presso la località di Garat Ouda. Grazie alle datazioni 14C e TL ottenute dai siti archeologici ad esso connesso, si è scoperto che il delta si disattivò tra (TL) 5000 BP e (14C) 4500 anni uncal BP, 5350 – 4850 cal BP, a causa del calo di portata dello wadi alimentatore, quale diretta conseguenza dell’interrompersi delle precipitazioni monsoniche. Il prosciugamento del delta fu repentino, tanto da permettere la perfetta conservazione delle forme dei suoi canali ancora ben visibili sia sul terreno, sia sulle foto da satellite, e soltanto discontinuamente occultate da piccole barcane. Relativi a questo episodio di inaridimento, la curva dendroclimatica del Cipresso del Tassili segna due marcati picchi di anelli particolarmente stretti, attorno a 5120 anni cal BP. , che corrispondono al momento più arido di tutto l’intervallo cronologico da essa documentato. Sfuggono all’aridità soltanto alcune aree che, grazie a particolari condizioni idrogeologiche, conservano una disponibilità idrica tale da consentire a piante ed animali di sopravvivere. Questo è il caso della valle in cui scorre wadi Tanezzuft che, alimentato dagli enormi serbatoi idrici delle catene montuose circostanti non esauritesi al cessare delle piogge monsoniche, formò nella parte alta del suo corso un’oasi che sopravvisse per almeno due millenni e si ridusse progressivamente, fino a raggiungere le dimensioni dell’attuale oasi di Ghat, allo stabilirsi di condizioni iperaride attorno al V secolo d.C. La regione in esame venne densamente popolata fin dall’inizio delle piogge monsoniche, dapprima da cacciatori epipaleolitici e mesolitici e da pastori neolitici e fu più tardi insediata dai Garamanti. Durante l’Olocene umido tutte le unità fisiografiche risultano intensamente frequentate; lo furono specialmente le sponde dei laghi, lungo le quali sono state osservate molte centinaia di siti archeologici che costituiscono gli accampamenti stagionali di pastori, legati da rapporti di transumanza con gli insediamenti delle adiacenti catene montuose. Attività di pesca e di caccia alla fauna è documentata anche dalla densissima concentrazione di insediamenti sui rami del delta di Garat Ouda. L’aridificazione avvenuta attorno a 5000 anni uncal BP provocò un radicale cambiamento nello sfruttamento territoriale. Sospinte dall’aridità, la popolazioni si concentrarono nelle oasi, dando luogo ad insediamenti più stabili; venne introdotta l’agricoltura irrigua e promossero gli scambi a grande distanza attraverso le vie carovaniere. È probabile che brevi episodi di incremento delle precipitazioni avvenuti durante il III millennio BP abbiano favorito l’insediamento dei Garamanti nell’oasi del Tanezzuft. Al margine delle oasi ed all’interno dei massicci montuosi, numerosi indizi (pietre da cattura, piste contrassegnate da segnacoli, accampamenti effimeri in ripari e cavità, manifestazioni di arte rupestre) indicano che anche le aree aridificate vennero, seppure marginalmente, frequentate e sfruttate. Le steppe aride della Siria centrale I cambiamenti ambientali documentati nel Sahara centrale si ripetono, pur con sensibili variazioni locali, nell’intera fascia dei deserti posti più ad oriente nell’area medio-orinetale e nella penisola arabica. Anche per l’area arabica le fonti di informazione tradizionali indicano un Olocene umido ed un progressivo declino della disponibilità idrica, accelerato da crisi di aridità tra 5000 e 4000 anni uncal BP; maggiori differenze sembrano esistere nei deserti e nelle steppe aride della Siria, ma le informazioni sono assai più scarse e frammentarie, data l’assenza di archivi paleoclimatici comparabili a quelli sahariani e la limitata disponibilità di date radiometriche affidabili. Condizioni di umidità sono documentate nell’area dell’oasi di Palmira già a partire dal Tardiglaciale. In questo periodo la sabkhat che oggi si estende al margine meridionale dell’odierna oasi era un lago assai vasto che sommerse in parte le dune eoliche formatesi ai suoi margini durante l’ultimo massimo glaciale. L’estensione del bacino si ridusse già dall’inizio dell’Olocene, malgrado che le numerose sorgenti attive ai suoi margini documentino una buona disponibilità idrica ed il persistere di intense precipitazioni. La trasformazione del lago in sabkhat, accompagnato dall’aggradazione di dune eoliche ai suoi margini, indica una importante fase arida, datata a circa 8000 anni uncal BP; questo evento è grossomodo contemporaneo alla crisi arida avvenuta nell’Olocene antico nella regione sahariana. A differenza di quanto accadde in nord Africa, non sembra che nell’area siriana vi sia stato un ritorno a condizioni di disponibilità idrica altrettanto marcate nei millenni successivi; ciononostante numerosi indizi fanno pensare che lo stabilirsi delle condizioni aride attuali debba risalire ai primi secoli dell’era volgare e si siano esasperate in tempi più recenti. Nell’area ad oriente di Palmira nella fascia pre-desertica, nella regione di Homs presso Mishrife, la presenza di specchi lacustri dimostra inoppugnabilmente condizioni di elevata disponibilità idrica nel quarto millennio BP che paiono interrompersi attorno a 3600 anni cal BP, in coincidenza con un episodio di aridità ben noto in area mediterranea; anche in questa regione l’impatto antropico potrebbe aver avuto un ruolo significativo nel cambiamento ambientale documentato in questa data. La frequentazione antropica nell’area di Palmira precede l’Olocene, in continuità con il Pleistocene superiore: l’area risulta densamente insediata dalle comunità del Paleolitico superiore e soprattutto da quelle epipaleolitiche. Numerosi siti di cacciatori della cultura del Kebariano geometrico, del Natufiano e del Neolitico aceramico (PPNA e PPNB) sono distribuiti lungo le sponde dell’antico lago. In questo periodo, al margine dell’attuale oasi, viene fondato insediamento stabile con strutture abitative in mattoni, presso il quale veniva praticata l’agricoltura. Anche a maggiore distanza dal lago, nelle aree montane, vi sono evidenze di intenso sfruttamento del territorio, a fine venatorio in questo caso, rappresentate da numerosissime e complesse trappole in pietra (i desert kites) per la caccia alle mandrie transumanti di gazzelle. La crisi climatico-ambientale databile attorno a 8000 anni BP provocò un radicale cambiamento nell’uso del territorio. Abbandonati i margini del lago ormai trasformatosi in sabkhat, gli insediamenti stabili si concentrarono nell’oasi; in ogni caso, anche le aree ad essa esterne erano frequentate da comunità pastorali che marcano il territorio con tumuli funerari. L’oasi, a partire dall’ età del Bronzo, collocata lungo una via carovaniera, nel tratto che congiunge Babilonia al Mediterraneo, conobbe una notevole fioritura in età classica, in parte contemporaneamente alla fase di maggiore sviluppo delle comunità Garamanti nelle oasi del Sahara centrale, sostenuta anche in questo caso da una maggiore disponibilità idrica. Il ridursi dell’oasi alle dimensioni moderne ed una generale aridificazione dell’area sono invece databili alla prima metà del primo millennio dell’era volgare. Sia nel deserto Sahariano che nelle steppe siriane, pur attraverso traiettorie storiche e contesti culturali molto differenziati, si assiste durante tutto l’Olocene ad un complesso interagire fra comunità antropiche e cambiamenti climatici che portano ad elaborare – con successo – complessi modelli di sussistenza al diffondersi dell’aridità; tali modelli sono da tempo oggetto di studio da parte di storici, archeologi e naturalisti. Tuttavia, le recenti ricerche hanno posto in evidenza come anche le aree più remote, non siano state completamente abbandonate dall’uomo anche dopo l’instaurarsi delle condizioni desertiche. Il persistere per alcuni millenni di attività pur marginali come la pastorizia, con lo sfruttamento del manto vegetale e delle limitate risorse ad opera di comunità nomadi in ambienti resi fragili dall’aridità, potrebbe aver rappresentato un fondamentale contributo antropico all’espansione dei deserti e a rendere le loro condizioni più severe.

Al margine meridionale del Mediterraneo: cambiamenti ambientali nelle regioni aride nel corso dell'Olocene ( fra clima ed impatto antropico) Accademia Nazionale dei Lincei XXIX Giornata dell'Ambiente: Clima del Bacino del Mediterraneo negli ultimi 12mila anni / M. Cremaschi. ((Intervento presentato al 29. convegno Clima del bacino del mediterraneo negli ultimi 12000 anni tenutosi a Roma nel 2011.

Al margine meridionale del Mediterraneo: cambiamenti ambientali nelle regioni aride nel corso dell'Olocene ( fra clima ed impatto antropico) Accademia Nazionale dei Lincei XXIX Giornata dell'Ambiente: Clima del Bacino del Mediterraneo negli ultimi 12mila anni

M. Cremaschi
Primo
2011

Abstract

Oggi sappiamo che l’Olocene – gli ultimi diecimila anni di storia della Terra –, un tempo ritenuto un periodo caldo e stabile, è stato teatro di sensibili e talora repentine variazioni climatiche. L’ultima di queste, il riscaldamento globale in atto, ci fa riflettere sullo sviluppo futuro del clima sul pianeta e su quale ruolo in esso possa giocare l’attività dell’uomo. Molte preoccupazioni si addensano sul Mediterraneo; questa regione viene considerata particolarmente sensibile al riscaldamento globale di origine antropica che porterà alla riduzione dell’intensità piogge e ad un più frequente ripetersi di episodi siccitosi, intervallati da precipitazioni a carattere parossistico, con conseguenze facilmente immaginabili sulle popolazioni che vi risiedono. I margini meridionale ed orientale del Mediterraneo sono oggi occupati dai deserti del Sahara e del Medio Oriente, ma l’attuale aridità di quelle regioni è solo l’ultimo episodio di una storia più complessa che le vide ricche di acque, densamente popolate, nonché teatro di eventi cruciali per lo sviluppo delle civiltà. Durante gli ultimi diecimila anni le regioni aride circum-mediterranee sono state teatro di un cambiamento ambientale di rango paragonabile soltanto a quello che avvenne pochi millenni prima alle medie latitudini con la disintegrazione dei ghiacciai pleistocenici, con l’importante differenza data dal fatto che il repentino sviluppo dei deserti interessò una area densamente popolata. Tali aree pertanto costituiscono un eccellente laboratorio dove studiare i rapporti fra le variazioni climatiche e le culture antropiche che a queste hanno reagito, soccombendo o adattandovisi, oppure ancora, come oggi cominciamo a comprendere, contribuendo esse stesse in modo attivo ai cambiamenti ambientali, non sempre in modo positivo. Malgrado i numerosi studi effettuati anche di recente, le regioni aride permangono ancora poco note dal punto di vista paleoambientale, a causa della loro vastità e delle difficoltà di accesso (ancora persistenti malgrado gli enormi progressi consentiti in questi decenni dall’uso dei veicoli fuori strada) ed a causa degli eventi politici e sociali dei quali, ultimamente, abbiamo molti esempi. Illustrerò quindi la situazione del Sahara centrale per il quale si hanno oggi molte informazioni, cercando inoltre di stabilire un confronto con le zone aride medio-orientali, con particolare riguardo al deserto siriano, per il quale tuttavia le conoscenze sono ad oggi assai meno approfondite. Meccanismo climatico La scomparsa o l’attenuazione delle condizioni desertiche nella fascia subtropicale tra la fine del Tardiglaciale e l’Olocene, secondo un noto modello paleoclimatico, è stata determinata dal riassetto della circolazione atmosferica globale, innescato dallo scioglimento dei ghiacciai alle medie ed alte latitudini in seguito all’aumento dell’intensità dell’insolazione entrante. Durante il periodo glaciale infatti la zona di convergenza intertropicale (ITCZ) subiva fluttuazioni stagionali molto ridotte, poiché costretta alle basse latitudini basse dalle alte pressioni sull'Europa indotte dalla presenza delle masse glaciali; inoltre la ridotta evaporazione nell’Atlantico centrale permetteva la formazione di perturbazioni monsoniche di modeste entità. Con il loro dissolversi e la scomparsa dei campi di alta pressione ad esse connessi, la zona di convergenza intertropicale risalì verso Nord fino a raggiungere una latitudine N di circa 20-25°; questo permise al monsone estivo (alimentato da un maggiore evaporazione oceanica) di portare masse di aria umida e pioggia dal golfo di Guinea fino al Sahara centrale. Analoghi fenomeni si verificano sopra l’Oceano indiano permettendo alle precipitazioni monsoniche di penetrare profondamente nella penisola arabica e il medio Oriente, fino ad incrociarsi con l’area dominata dai venti occidentali. Come conseguenza dell’enorme aumento di disponibilità idrica, l’intero area dei deserti sahariani, arabici e mediorientali si trasformò in savane e steppe arborate. L’anomalia prodotta dalla scomparsa dei ghiacciai venne rapidamente riassorbita e nel giro di pochi millenni la circolazione atmosferica si assunse le condizioni attuali, sospingendo verso sud l’ITCZ e permettendo ai deserti di riguadagnare il terreno perduto dalla fine della glaciazione. Il Sahara libico La regione a Sud Ovest della Libia – il Fezzan – si è rivelata particolarmente ricca di testimonianze paleoambientali ed archeologiche, localizzate sia nelle catene montuose (le montagne dell’Acacus e del Messak), sia nei mari di dune che le circondano (edeyen di Murzuq, erg Uan Kasa, Titersine e Tanezzuft). Particolarmente significativi per la ricostruzione dei cambiamenti climatici dell’Olocene sono i depositi lacustri le cui tracce sono conservate nei corridoi interdunari. Tali depositi infatti testimoniano la presenza di numerosi specchi lacustri originatisi grazie alle piogge monsoniche che hanno saturato le dune e innalzato le falde freatiche locali, provocando estesi allagamenti alla base delle dune stesse. Soprattutto grazie ai sedimenti torbosi che segnano le linee di riva, spesso perfettamente conservate, è stato possibile ottenere un consistente numero di date radiocarboniche è stato possibile datare l’oscillazione del livello dei laghi e pertanto dei cambiamenti di intensità delle precipitazioni. Sulla base di tale ricostruzione il livello dei laghi appare in fase di crescita a partire da 8800 anni uncal BP (circa 10000 anni cal BP), subisce un sensibilmente abbassamento attorno a 7500 anni uncal BP (circa 8000 anni cal BP) in corrispondenza di una episodio di crisi climatica percepito in tutto l’emisfero settentrionale, e risale nuovamente tra 7000 e 5000 anni uncal BP (7800-5500 anni cal BP). Pochissime sono le date radiocarboniche di depositi lacustri per il IV e III millennio BP, e riferibili principalmente a depositi di tipo evaporitico. Pertanto il limite di 5000 anni uncal BP costituisce il termine post quem per il prosciugamento dei laghi, causato dalla diminuzione di precipitazioni conseguente al ritiro delle perturbazioni monsoniche verso sud; tale evento costituisce anche la fine del periodo umido Olocenico. Le vicende dello wadi Tanezzuft e dell’adiacente bacino lacustre di Garat Ouda, nonché lo studio dendroclimatico del Cipresso del Tassili (Cupressus dupreziana), che si trova nel suo bacino di alimentazione, permettono di meglio datare e comprendere la dinamica di questa importante transizione climatico-ambientale. Lo wadi Tanezzuft, corso d’acqua oggi solo sporadicamente attivo che si trova tra l’Acacus e l’erg Titersine, divenne, nell’Olocene umido, un fiume di portata elevata. In particolare una diramazione che usciva dal corso principale alimentava, attraverso un ampio delta, un lago della superficie di circa 80 Km2, presso la località di Garat Ouda. Grazie alle datazioni 14C e TL ottenute dai siti archeologici ad esso connesso, si è scoperto che il delta si disattivò tra (TL) 5000 BP e (14C) 4500 anni uncal BP, 5350 – 4850 cal BP, a causa del calo di portata dello wadi alimentatore, quale diretta conseguenza dell’interrompersi delle precipitazioni monsoniche. Il prosciugamento del delta fu repentino, tanto da permettere la perfetta conservazione delle forme dei suoi canali ancora ben visibili sia sul terreno, sia sulle foto da satellite, e soltanto discontinuamente occultate da piccole barcane. Relativi a questo episodio di inaridimento, la curva dendroclimatica del Cipresso del Tassili segna due marcati picchi di anelli particolarmente stretti, attorno a 5120 anni cal BP. , che corrispondono al momento più arido di tutto l’intervallo cronologico da essa documentato. Sfuggono all’aridità soltanto alcune aree che, grazie a particolari condizioni idrogeologiche, conservano una disponibilità idrica tale da consentire a piante ed animali di sopravvivere. Questo è il caso della valle in cui scorre wadi Tanezzuft che, alimentato dagli enormi serbatoi idrici delle catene montuose circostanti non esauritesi al cessare delle piogge monsoniche, formò nella parte alta del suo corso un’oasi che sopravvisse per almeno due millenni e si ridusse progressivamente, fino a raggiungere le dimensioni dell’attuale oasi di Ghat, allo stabilirsi di condizioni iperaride attorno al V secolo d.C. La regione in esame venne densamente popolata fin dall’inizio delle piogge monsoniche, dapprima da cacciatori epipaleolitici e mesolitici e da pastori neolitici e fu più tardi insediata dai Garamanti. Durante l’Olocene umido tutte le unità fisiografiche risultano intensamente frequentate; lo furono specialmente le sponde dei laghi, lungo le quali sono state osservate molte centinaia di siti archeologici che costituiscono gli accampamenti stagionali di pastori, legati da rapporti di transumanza con gli insediamenti delle adiacenti catene montuose. Attività di pesca e di caccia alla fauna è documentata anche dalla densissima concentrazione di insediamenti sui rami del delta di Garat Ouda. L’aridificazione avvenuta attorno a 5000 anni uncal BP provocò un radicale cambiamento nello sfruttamento territoriale. Sospinte dall’aridità, la popolazioni si concentrarono nelle oasi, dando luogo ad insediamenti più stabili; venne introdotta l’agricoltura irrigua e promossero gli scambi a grande distanza attraverso le vie carovaniere. È probabile che brevi episodi di incremento delle precipitazioni avvenuti durante il III millennio BP abbiano favorito l’insediamento dei Garamanti nell’oasi del Tanezzuft. Al margine delle oasi ed all’interno dei massicci montuosi, numerosi indizi (pietre da cattura, piste contrassegnate da segnacoli, accampamenti effimeri in ripari e cavità, manifestazioni di arte rupestre) indicano che anche le aree aridificate vennero, seppure marginalmente, frequentate e sfruttate. Le steppe aride della Siria centrale I cambiamenti ambientali documentati nel Sahara centrale si ripetono, pur con sensibili variazioni locali, nell’intera fascia dei deserti posti più ad oriente nell’area medio-orinetale e nella penisola arabica. Anche per l’area arabica le fonti di informazione tradizionali indicano un Olocene umido ed un progressivo declino della disponibilità idrica, accelerato da crisi di aridità tra 5000 e 4000 anni uncal BP; maggiori differenze sembrano esistere nei deserti e nelle steppe aride della Siria, ma le informazioni sono assai più scarse e frammentarie, data l’assenza di archivi paleoclimatici comparabili a quelli sahariani e la limitata disponibilità di date radiometriche affidabili. Condizioni di umidità sono documentate nell’area dell’oasi di Palmira già a partire dal Tardiglaciale. In questo periodo la sabkhat che oggi si estende al margine meridionale dell’odierna oasi era un lago assai vasto che sommerse in parte le dune eoliche formatesi ai suoi margini durante l’ultimo massimo glaciale. L’estensione del bacino si ridusse già dall’inizio dell’Olocene, malgrado che le numerose sorgenti attive ai suoi margini documentino una buona disponibilità idrica ed il persistere di intense precipitazioni. La trasformazione del lago in sabkhat, accompagnato dall’aggradazione di dune eoliche ai suoi margini, indica una importante fase arida, datata a circa 8000 anni uncal BP; questo evento è grossomodo contemporaneo alla crisi arida avvenuta nell’Olocene antico nella regione sahariana. A differenza di quanto accadde in nord Africa, non sembra che nell’area siriana vi sia stato un ritorno a condizioni di disponibilità idrica altrettanto marcate nei millenni successivi; ciononostante numerosi indizi fanno pensare che lo stabilirsi delle condizioni aride attuali debba risalire ai primi secoli dell’era volgare e si siano esasperate in tempi più recenti. Nell’area ad oriente di Palmira nella fascia pre-desertica, nella regione di Homs presso Mishrife, la presenza di specchi lacustri dimostra inoppugnabilmente condizioni di elevata disponibilità idrica nel quarto millennio BP che paiono interrompersi attorno a 3600 anni cal BP, in coincidenza con un episodio di aridità ben noto in area mediterranea; anche in questa regione l’impatto antropico potrebbe aver avuto un ruolo significativo nel cambiamento ambientale documentato in questa data. La frequentazione antropica nell’area di Palmira precede l’Olocene, in continuità con il Pleistocene superiore: l’area risulta densamente insediata dalle comunità del Paleolitico superiore e soprattutto da quelle epipaleolitiche. Numerosi siti di cacciatori della cultura del Kebariano geometrico, del Natufiano e del Neolitico aceramico (PPNA e PPNB) sono distribuiti lungo le sponde dell’antico lago. In questo periodo, al margine dell’attuale oasi, viene fondato insediamento stabile con strutture abitative in mattoni, presso il quale veniva praticata l’agricoltura. Anche a maggiore distanza dal lago, nelle aree montane, vi sono evidenze di intenso sfruttamento del territorio, a fine venatorio in questo caso, rappresentate da numerosissime e complesse trappole in pietra (i desert kites) per la caccia alle mandrie transumanti di gazzelle. La crisi climatico-ambientale databile attorno a 8000 anni BP provocò un radicale cambiamento nell’uso del territorio. Abbandonati i margini del lago ormai trasformatosi in sabkhat, gli insediamenti stabili si concentrarono nell’oasi; in ogni caso, anche le aree ad essa esterne erano frequentate da comunità pastorali che marcano il territorio con tumuli funerari. L’oasi, a partire dall’ età del Bronzo, collocata lungo una via carovaniera, nel tratto che congiunge Babilonia al Mediterraneo, conobbe una notevole fioritura in età classica, in parte contemporaneamente alla fase di maggiore sviluppo delle comunità Garamanti nelle oasi del Sahara centrale, sostenuta anche in questo caso da una maggiore disponibilità idrica. Il ridursi dell’oasi alle dimensioni moderne ed una generale aridificazione dell’area sono invece databili alla prima metà del primo millennio dell’era volgare. Sia nel deserto Sahariano che nelle steppe siriane, pur attraverso traiettorie storiche e contesti culturali molto differenziati, si assiste durante tutto l’Olocene ad un complesso interagire fra comunità antropiche e cambiamenti climatici che portano ad elaborare – con successo – complessi modelli di sussistenza al diffondersi dell’aridità; tali modelli sono da tempo oggetto di studio da parte di storici, archeologi e naturalisti. Tuttavia, le recenti ricerche hanno posto in evidenza come anche le aree più remote, non siano state completamente abbandonate dall’uomo anche dopo l’instaurarsi delle condizioni desertiche. Il persistere per alcuni millenni di attività pur marginali come la pastorizia, con lo sfruttamento del manto vegetale e delle limitate risorse ad opera di comunità nomadi in ambienti resi fragili dall’aridità, potrebbe aver rappresentato un fondamentale contributo antropico all’espansione dei deserti e a rendere le loro condizioni più severe.
17-ott-2011
Settore GEO/04 - Geografia Fisica e Geomorfologia
Accademia Nazionale del Lincei
Al margine meridionale del Mediterraneo: cambiamenti ambientali nelle regioni aride nel corso dell'Olocene ( fra clima ed impatto antropico) Accademia Nazionale dei Lincei XXIX Giornata dell'Ambiente: Clima del Bacino del Mediterraneo negli ultimi 12mila anni / M. Cremaschi. ((Intervento presentato al 29. convegno Clima del bacino del mediterraneo negli ultimi 12000 anni tenutosi a Roma nel 2011.
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