Vengono di seguito riportati I risultati di un’indagine diagnostica effettuata nel periodo Febbraio 2004-Febbraio 2005 in 48 allevamenti bovini dell’Italia del nord, del Lazio, e in 2 allevamenti bufalini della Campania: Sono stati effettuati 85 prelievi ottenuti a campione, rispettivamente da 79 bovini e 6 bufali con segni clinici riconducibili a tricofitosi. Le notizie anamnestiche riferivano assenza di trattamento nella maggior parte dei soggetti: in 5 casi si riferiva la somministrazione di vaccino a scopo terapeutico, seguendo protocolli diversi. Per ciascun allevamento venivano inoltre riferite attitudine produttiva, tipologia di stabulazione, razza ed età dei soggetti, prevalenza dei sintomatici per ciascuna categoria di anaimali, presenza e topografia delle lesioni, eventuali episodi di contagio intraspecifico (addetti di stalla e/o altre specie conviventi). Il materiale è stato prelevato dalle lesioni previo trattamento con alcool 90°, e suddiviso in due aliquote: una è stata sottoposta ad esame microscopico previo trattamento con KOH (10%) a 37°C per 30’ per l’evidenziazione di artrospore, l’altra è stata seminata su terreno selettivo per dermatofiti con supplementazione di tiamina e inositolo (10%) ed incubata a 37°C per 5 settimane. L’eventuale sviluppo di colonie di Trichophyton verrucosum nelle piaster è stata controllata a partire dalla seconda settimana di incubazione. La presenza del dermatofita è stata dimostrata nel 85.8% dei campioni esaminati. Non sono state evidenziate differenze statisticamente significative di prevalenza in base al tipo di stabulazione, alla razza ed all’età dei soggetti esaminati. Alcuni degli animali vaccinati a scopo terapeutico, benché sintomatici, sono risultati negativi alla ricerca di Trichophyton verrucosum. Episodi di contagio interspecifico (uomo e cane) sono stati riferiti in oltre il50% degli allevamenti. I dati ottenuti dalla presente indagine consentono di affermare l’effettiva presenza di Trichophyton verrucosum negli allevamenti e il suo ruolo zoonosico non trascurabile. Ai fini dell’emissione di una diagnosi più sensibile, risulta inoltre utile condurre in parallelo sia indagini microscopiche che colturali. Infine, la mancata correlazione riscontrata con fattori tipicamente ritenuti determinanti la comparsa della dermatofitosi quali il tipo di management e la giovane età degli animali appare un elemento di novità nel panorama di questa dermatofitosi.

Esperienza diagnostica di Tricofitosi bovina in cinquanta allevamenti italiani / S. Nardoni, L. Rossi, F. Mancianti. - 7:(2005), pp. 34-34. (Intervento presentato al 7. convegno Congresso nazionale multisala SIVAR tenutosi a Cremona nel 2005).

Esperienza diagnostica di Tricofitosi bovina in cinquanta allevamenti italiani

L. Rossi;
2005

Abstract

Vengono di seguito riportati I risultati di un’indagine diagnostica effettuata nel periodo Febbraio 2004-Febbraio 2005 in 48 allevamenti bovini dell’Italia del nord, del Lazio, e in 2 allevamenti bufalini della Campania: Sono stati effettuati 85 prelievi ottenuti a campione, rispettivamente da 79 bovini e 6 bufali con segni clinici riconducibili a tricofitosi. Le notizie anamnestiche riferivano assenza di trattamento nella maggior parte dei soggetti: in 5 casi si riferiva la somministrazione di vaccino a scopo terapeutico, seguendo protocolli diversi. Per ciascun allevamento venivano inoltre riferite attitudine produttiva, tipologia di stabulazione, razza ed età dei soggetti, prevalenza dei sintomatici per ciascuna categoria di anaimali, presenza e topografia delle lesioni, eventuali episodi di contagio intraspecifico (addetti di stalla e/o altre specie conviventi). Il materiale è stato prelevato dalle lesioni previo trattamento con alcool 90°, e suddiviso in due aliquote: una è stata sottoposta ad esame microscopico previo trattamento con KOH (10%) a 37°C per 30’ per l’evidenziazione di artrospore, l’altra è stata seminata su terreno selettivo per dermatofiti con supplementazione di tiamina e inositolo (10%) ed incubata a 37°C per 5 settimane. L’eventuale sviluppo di colonie di Trichophyton verrucosum nelle piaster è stata controllata a partire dalla seconda settimana di incubazione. La presenza del dermatofita è stata dimostrata nel 85.8% dei campioni esaminati. Non sono state evidenziate differenze statisticamente significative di prevalenza in base al tipo di stabulazione, alla razza ed all’età dei soggetti esaminati. Alcuni degli animali vaccinati a scopo terapeutico, benché sintomatici, sono risultati negativi alla ricerca di Trichophyton verrucosum. Episodi di contagio interspecifico (uomo e cane) sono stati riferiti in oltre il50% degli allevamenti. I dati ottenuti dalla presente indagine consentono di affermare l’effettiva presenza di Trichophyton verrucosum negli allevamenti e il suo ruolo zoonosico non trascurabile. Ai fini dell’emissione di una diagnosi più sensibile, risulta inoltre utile condurre in parallelo sia indagini microscopiche che colturali. Infine, la mancata correlazione riscontrata con fattori tipicamente ritenuti determinanti la comparsa della dermatofitosi quali il tipo di management e la giovane età degli animali appare un elemento di novità nel panorama di questa dermatofitosi.
diagnosi ; dermatofitosi ; diffusione ; vaccinazione ; Trichophyton verrucosum
Settore VET/05 - Malattie Infettive degli Animali Domestici
2005
SIVAR
Società italiana veterinari per animali da reddito
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