Il duty of disclosure rappresenta sicuramente uno degli elementi pregnanti del contratto di assicurazione, e tale elemento seppur nato come obbligo a carico dell’assicurando è oggi inteso, grazie anche all’intervento del legislatore europeo, in senso bilaterale seppur con le opportune differenze. Il duty of disclosure, infatti, è oggi inteso quale elemento atto a garantire l’equilibrio informativo all’interno del sinallagma contrattuale. Gli studi più recenti hanno infatti dimostrato come l’eliminazione delle cd assimetrie informative debba essere un obbiettivo primario e ciò da un lato in quanto permetterebbe di ridurre se non eliminare i costi transattivi che un contratto “non voluto” comporta, dall’altro lato in quanto un perfetto equilibrio informativo rappresenta la garanzia che i contraenti giungano alla conclusione del contratto non solo pienamente consapevoli ma soprattutto pienamente soddisfatti. Questo ha portato ad individuare uno specifico duty of disclosure in capo all’Assicuratore, che secondo il Diritto Comunitario può essenzialmente essere diviso in due sottocategorie: il dovere di informare circa il contenuto del contratto assicurativo in genere ed il dovere di informare il contraente circa l’eventuale non adeguatezza del contratto offerto rispetto alle esigenze assicurative del contraente stesso. In tale direzione è condivisibile la scelta operata dal legislatore italiano nel Codice delle Assicurazioni che per la prima volte introduce a livello legislativo regole di trasparenza e di correttezza a carico dell’Impresa e dell’intermediario nell’offerta dei prodotti assicurativi, nonché il dovere di garantire l’adeguatezza del contratto. Negli altri ordinamenti europei si nota, una certa difformità di applicazione, infatti se l’obbligo di consegna della documentazione precontrattuale è presente a livello legislativo in tutti gli ordinamenti (come nel Regno Unito con il British Insurance Companies Act Schedule 2E Sec. 72° par. 1 e par. 3, o in Francia nel Code des Assurance art. L. 112-2 o in Italia con l’art. 183 del Codice delle Assicurazioni); al contrario le leggi dei singoli Stati differiscono quanto al dovere più specifico di informare il contraente circa la non adeguatezza del contratto proposto rispetto alle esigenze assicurative dello stesso. Tre modelli legislativi sono individuabili: il primo che prevede tale obbligo in capo alle imprese (come nel Regno Unito o Italia ), altri ordinamenti richiedono l’esistenza di particolari circostanze come in Francia ove tale dovere è previsto solo se il contraente abbia espressamente fatto presente specifiche esigenze assicurative ovvero qualora sia evidente una sua non esatta percezione della copertura proposta. Un terzo modello non prevede alcun obbligo in tema di adeguatezza. Al di là di tali divergenze, tuttavia, tanto nel diritto comunitario quanto a livello delle singole legislazioni statali esiste un file rouge rappresentato dall’idea secondo cui la tutela dell’assicurando-consumatore debba avvenire attraverso la regolamentazione della trasparenza. Questa ha, infatti, lo scopo di incrementare la possibilità che l’assicurato operi delle scelte informate e viene in concreto realizzata attraverso una standardizzazione della forma e delle caratteristiche del contratto assicurativo. Ovviamente, e per quanto le scelte di policy legislativa risultino condivisibili, si è anche consci che l’effettività della tutela degli assicurati e l’efficacia, anche sotto il profilo di analisi economica, delle norme sulla trasparenza dipende dall’applicazione e dalle modalità con cui gli operatori le pongono in essere. Per quanto attiene il mercato italiano si deve registrare (e non solo per colpa degli operatori) un aumento della quantità delle informazioni, senza alcun controllo effettivo sull’effettiva chiarezza e “trasparenza” del contenuto delle suddette informazioni. Seguendo i principi propri dell’analisi economica si dovrebbe concludere che la regola non è efficiente posto che l’aumento delle informazioni (sempre inteso come aumento quantitativo) determina un indubbio aumento dei costi (ovviamente sempre a carico del consumatore/assicurato), a cui però non corrisponde una certezza di maggior tutela per gli assicurati. Ed è su tale constatazione che si innesta a mio avviso un ulteriore problematica ossia comprendere quali possano essere gli strumenti e le tecniche di redazione dei contratti idonee a garantire la trasparenza. La tematica è, dunque, quella del legal drafting inteso come costruzione delle clausole contrattuali, ovvero “traduzione” di regole e norme all’interno del tessuto contrattuale. Non vi è dubbio che chiarezza e trasparenza del testo contrattuale sono concetti che impongono di verificare, in concreto, se le regole contrattuali siano o meno effettivamente comprese dal consumatore. E’ un dato di fatto che ciascun settore dell’attività economica (ed il mercato assicurativo finanziario ne è un esempio palese) si è sentito abilitato a dotarsi di un proprio linguaggio, senza tener conto del fatto che esso risulti incomprensibile fuori dalla cerchia degli addetti al settore. Tuttavia la forza della tradizione linguistica settoriale è così forte che nelle polizze tradizionali si incontrano vocaboli termini che si caratterizzano o per uno spostamento di significato rispetto al lessico comune, o al contrario per avere significati ambivalenti o addirittura contraddittori. La situazione già abbastanza confusa a livello nazionale si complica e potremmo dire peggiora se pensiamo al mercato assicurativo “globale” ed all’attività svolta dalle compagnie straniere in LPS o LS ove molto spesso ci si limita a tradurre le condizioni di contratto. In tale contesto oltre ai problemi già evidenziati subentrano i problemi legati alla traduzione.

Duty of disclosure nel contratto di assicurazione : analisi comparata tra sistema italiano e sistema inglese / S. Nitti. - In: DIRITTO ED ECONOMIA DELL'ASSICURAZIONE. - ISSN 1125-9302. - 2010:3(2010), pp. 527-603.

Duty of disclosure nel contratto di assicurazione : analisi comparata tra sistema italiano e sistema inglese

S. Nitti
Primo
2010

Abstract

Il duty of disclosure rappresenta sicuramente uno degli elementi pregnanti del contratto di assicurazione, e tale elemento seppur nato come obbligo a carico dell’assicurando è oggi inteso, grazie anche all’intervento del legislatore europeo, in senso bilaterale seppur con le opportune differenze. Il duty of disclosure, infatti, è oggi inteso quale elemento atto a garantire l’equilibrio informativo all’interno del sinallagma contrattuale. Gli studi più recenti hanno infatti dimostrato come l’eliminazione delle cd assimetrie informative debba essere un obbiettivo primario e ciò da un lato in quanto permetterebbe di ridurre se non eliminare i costi transattivi che un contratto “non voluto” comporta, dall’altro lato in quanto un perfetto equilibrio informativo rappresenta la garanzia che i contraenti giungano alla conclusione del contratto non solo pienamente consapevoli ma soprattutto pienamente soddisfatti. Questo ha portato ad individuare uno specifico duty of disclosure in capo all’Assicuratore, che secondo il Diritto Comunitario può essenzialmente essere diviso in due sottocategorie: il dovere di informare circa il contenuto del contratto assicurativo in genere ed il dovere di informare il contraente circa l’eventuale non adeguatezza del contratto offerto rispetto alle esigenze assicurative del contraente stesso. In tale direzione è condivisibile la scelta operata dal legislatore italiano nel Codice delle Assicurazioni che per la prima volte introduce a livello legislativo regole di trasparenza e di correttezza a carico dell’Impresa e dell’intermediario nell’offerta dei prodotti assicurativi, nonché il dovere di garantire l’adeguatezza del contratto. Negli altri ordinamenti europei si nota, una certa difformità di applicazione, infatti se l’obbligo di consegna della documentazione precontrattuale è presente a livello legislativo in tutti gli ordinamenti (come nel Regno Unito con il British Insurance Companies Act Schedule 2E Sec. 72° par. 1 e par. 3, o in Francia nel Code des Assurance art. L. 112-2 o in Italia con l’art. 183 del Codice delle Assicurazioni); al contrario le leggi dei singoli Stati differiscono quanto al dovere più specifico di informare il contraente circa la non adeguatezza del contratto proposto rispetto alle esigenze assicurative dello stesso. Tre modelli legislativi sono individuabili: il primo che prevede tale obbligo in capo alle imprese (come nel Regno Unito o Italia ), altri ordinamenti richiedono l’esistenza di particolari circostanze come in Francia ove tale dovere è previsto solo se il contraente abbia espressamente fatto presente specifiche esigenze assicurative ovvero qualora sia evidente una sua non esatta percezione della copertura proposta. Un terzo modello non prevede alcun obbligo in tema di adeguatezza. Al di là di tali divergenze, tuttavia, tanto nel diritto comunitario quanto a livello delle singole legislazioni statali esiste un file rouge rappresentato dall’idea secondo cui la tutela dell’assicurando-consumatore debba avvenire attraverso la regolamentazione della trasparenza. Questa ha, infatti, lo scopo di incrementare la possibilità che l’assicurato operi delle scelte informate e viene in concreto realizzata attraverso una standardizzazione della forma e delle caratteristiche del contratto assicurativo. Ovviamente, e per quanto le scelte di policy legislativa risultino condivisibili, si è anche consci che l’effettività della tutela degli assicurati e l’efficacia, anche sotto il profilo di analisi economica, delle norme sulla trasparenza dipende dall’applicazione e dalle modalità con cui gli operatori le pongono in essere. Per quanto attiene il mercato italiano si deve registrare (e non solo per colpa degli operatori) un aumento della quantità delle informazioni, senza alcun controllo effettivo sull’effettiva chiarezza e “trasparenza” del contenuto delle suddette informazioni. Seguendo i principi propri dell’analisi economica si dovrebbe concludere che la regola non è efficiente posto che l’aumento delle informazioni (sempre inteso come aumento quantitativo) determina un indubbio aumento dei costi (ovviamente sempre a carico del consumatore/assicurato), a cui però non corrisponde una certezza di maggior tutela per gli assicurati. Ed è su tale constatazione che si innesta a mio avviso un ulteriore problematica ossia comprendere quali possano essere gli strumenti e le tecniche di redazione dei contratti idonee a garantire la trasparenza. La tematica è, dunque, quella del legal drafting inteso come costruzione delle clausole contrattuali, ovvero “traduzione” di regole e norme all’interno del tessuto contrattuale. Non vi è dubbio che chiarezza e trasparenza del testo contrattuale sono concetti che impongono di verificare, in concreto, se le regole contrattuali siano o meno effettivamente comprese dal consumatore. E’ un dato di fatto che ciascun settore dell’attività economica (ed il mercato assicurativo finanziario ne è un esempio palese) si è sentito abilitato a dotarsi di un proprio linguaggio, senza tener conto del fatto che esso risulti incomprensibile fuori dalla cerchia degli addetti al settore. Tuttavia la forza della tradizione linguistica settoriale è così forte che nelle polizze tradizionali si incontrano vocaboli termini che si caratterizzano o per uno spostamento di significato rispetto al lessico comune, o al contrario per avere significati ambivalenti o addirittura contraddittori. La situazione già abbastanza confusa a livello nazionale si complica e potremmo dire peggiora se pensiamo al mercato assicurativo “globale” ed all’attività svolta dalle compagnie straniere in LPS o LS ove molto spesso ci si limita a tradurre le condizioni di contratto. In tale contesto oltre ai problemi già evidenziati subentrano i problemi legati alla traduzione.
contratto ; assicurazione ; disclosure ; responsabilità precontrattuale
Settore IUS/02 - Diritto Privato Comparato
2010
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