A Settembre 2007 una donna di 58 anni è stata ricoverata presso il Reparto di Neurologia degli Spedali Civili di Brescia per la valutazione di ipovisus e ipoacusia; la paziente lamentava calo del visus e ipoacusia da Luglio 2007. In anamnesi erano presenti: diabete mellito, ipertensione arteriosa con retinopatia, ipotiroidismo dovuto a tiroidite autoimmune. La paziente era stata inoltre sottoposta ad intervento di posizionamento di artroprotesi di anca sinistra, revisionata 5 anni dopo a causa della rottura della testa protesica in ceramica; durante l’intervento di revisione è stata posizionata una testa in lega cromo-cobalto mentre lo stelo e l’acetabolo in titanio sono stati lasciati in sede in quanto integri. Al momento del ricovero si rilevavano deficit bilaterale del II e del VIII nervo cranico e lievi disturbi sensitivo-motori distali agli arti. Mediante un’ampia serie di esami strumentali è stata inizialmente posta diagnosi di multineuropatia assonale periferica. Indagini laboratoristiche atte ad escludere malattie infettive, neoplastiche, metaboliche e immunologiche sono risultate negative, con l’eccezione di un lieve incremento dei marker infiammatori. Ipotizzando una vasculite immuno-mediata la paziente è stata dimessa con l’indicazione a terapia con prednisone, che dopo una fase iniziale di beneficio è risultata inefficace. A Dicembre 2007 la paziente è stata nuovamente ricoverata poichè completamente cieca, gravemente ipoacusica e confinata sulla sedia a rotelle a causa di ipostenia severa agli arti inferiori. Dagli esami condotti non è emerso nessun dato patologico quindi la paziente è stata segnalata al Servizio di Tossicologia del nostro Ospedale per valutare una possibile genesi tossica dei distrubi neurologici. Inaspettatamente sono emerse concentrazioni di cobalto e cromo nel siero, nelle urine e nel liquor cefalorachidiano 100 volte più elevate rispetto ai valori di riferimento. Analizzando le concentrazioni relative dei metalli e prendendo in considerazione la storia ortopedica della paziente, è stata ipotizzata una intossicazione da cobalto-cromo causata dai detriti derivanti dalla corrosione dell’artroprotesi di anca, sebbene le radiografie effettuate non evidenziassero segni di mobilizzazione protesica e la paziente non avesse mai lamentato algie locali. La paziente è stata quindi sottoposta a vari cicli di terapia chelante con EDTA, ai quali sono corrisposti minimi miglioramenti neurologici in contrapposizione a significative diminuzioni delle concentrazioni dei metalli. La protesi d’anca è stata rimossa ad Aprile 2008 con evidenza intraoperatoria di metallosi massiva nei tessuti periprotesici, dato confermato dall’analisi istologica. Nelle settimane successive le concentrazioni dei metalli hanno iniziato a diminuire gradualmente confermando l’ipotesi di intossicazione endogena da cobalto-cromo. Sebbene all’ultimo controllo le concentrazioni fossero ancora molto oltre i valori limite, il quadro neurologico è risultato migliorato con la quasi completa normalizzazione dell’udito e della funzione motoria mentre la vista ha avuto miglioramenti meno evidenti. Nonostante sia noto come l’esposizione al cobalto possa determinare effetti biologici avversi, la rilevanza clinica è piuttosto controversa poichè il ruolo del cobalto o delle leghe cromo-cobalto sui tessuti e organi umani non è ancora stato chiarito. In effetti, accanto al ben noto effetto dell’intossicazione esogena da cobalto nella genesi di disturbi tiroidei, cardiaci e respiratori (questi ultimi non rilevati nella nostra paziente), gli effetti tossici sul sistema nervoso centrale (atrofia ottica, sordità neurosensoriale e parestesie agli arti) sono stati descritti raramente. I case report presenti in letteratura sono solamente 3 nonostante l’esposizione endogena a metalli sia ben documentata in casistiche cliniche e principalmente correlata alle protesi metalliche che producono detriti da corrosione e rilascio di ioni metallici. Il caso che presentiamo, caratterizzato da una esposizione cronica a cobalto-cromo endogeni a concentrazioni straordinarie, è paradigmatico e sottolinea le potenziali conseguenze che possono derivare dagli impianti metallici. Sebbene l’artroprotesi totale e l’artroplastica di anca siano procedure molto diffuse praticate con successo, raccomandiamo un follow-up a lungo termine e accurato, indispensabile per rilevare effetti avversi sistemici dovuti all’esposizione prolungata ad elevate concentrazioni di cobalto. In quest’ottica, oltre alla valutazione ortopedica, raccomandiamo vivamente un’attenta valutazione neurologica e tossicologica qualora un paziente portatore di impianto protesico lamentasse disturbi visivi e/o uditivi, ipostenia degli arti, parestesie anche in assenza di sintomi locali osteoarticolari.

Cobalto e neurotossicità: una lezione dalle artroprotesi d’anca / M.C. Rizzetti, P. Liberini, S. Catalani, P. Apostoli, M. Marinovich, A. Padovani. ((Intervento presentato al 15. convegno Congresso Nazionale della Società Italiana di Tossicologia tenutosi a Verona nel 2009.

Cobalto e neurotossicità: una lezione dalle artroprotesi d’anca

M. Marinovich
Penultimo
;
2009

Abstract

A Settembre 2007 una donna di 58 anni è stata ricoverata presso il Reparto di Neurologia degli Spedali Civili di Brescia per la valutazione di ipovisus e ipoacusia; la paziente lamentava calo del visus e ipoacusia da Luglio 2007. In anamnesi erano presenti: diabete mellito, ipertensione arteriosa con retinopatia, ipotiroidismo dovuto a tiroidite autoimmune. La paziente era stata inoltre sottoposta ad intervento di posizionamento di artroprotesi di anca sinistra, revisionata 5 anni dopo a causa della rottura della testa protesica in ceramica; durante l’intervento di revisione è stata posizionata una testa in lega cromo-cobalto mentre lo stelo e l’acetabolo in titanio sono stati lasciati in sede in quanto integri. Al momento del ricovero si rilevavano deficit bilaterale del II e del VIII nervo cranico e lievi disturbi sensitivo-motori distali agli arti. Mediante un’ampia serie di esami strumentali è stata inizialmente posta diagnosi di multineuropatia assonale periferica. Indagini laboratoristiche atte ad escludere malattie infettive, neoplastiche, metaboliche e immunologiche sono risultate negative, con l’eccezione di un lieve incremento dei marker infiammatori. Ipotizzando una vasculite immuno-mediata la paziente è stata dimessa con l’indicazione a terapia con prednisone, che dopo una fase iniziale di beneficio è risultata inefficace. A Dicembre 2007 la paziente è stata nuovamente ricoverata poichè completamente cieca, gravemente ipoacusica e confinata sulla sedia a rotelle a causa di ipostenia severa agli arti inferiori. Dagli esami condotti non è emerso nessun dato patologico quindi la paziente è stata segnalata al Servizio di Tossicologia del nostro Ospedale per valutare una possibile genesi tossica dei distrubi neurologici. Inaspettatamente sono emerse concentrazioni di cobalto e cromo nel siero, nelle urine e nel liquor cefalorachidiano 100 volte più elevate rispetto ai valori di riferimento. Analizzando le concentrazioni relative dei metalli e prendendo in considerazione la storia ortopedica della paziente, è stata ipotizzata una intossicazione da cobalto-cromo causata dai detriti derivanti dalla corrosione dell’artroprotesi di anca, sebbene le radiografie effettuate non evidenziassero segni di mobilizzazione protesica e la paziente non avesse mai lamentato algie locali. La paziente è stata quindi sottoposta a vari cicli di terapia chelante con EDTA, ai quali sono corrisposti minimi miglioramenti neurologici in contrapposizione a significative diminuzioni delle concentrazioni dei metalli. La protesi d’anca è stata rimossa ad Aprile 2008 con evidenza intraoperatoria di metallosi massiva nei tessuti periprotesici, dato confermato dall’analisi istologica. Nelle settimane successive le concentrazioni dei metalli hanno iniziato a diminuire gradualmente confermando l’ipotesi di intossicazione endogena da cobalto-cromo. Sebbene all’ultimo controllo le concentrazioni fossero ancora molto oltre i valori limite, il quadro neurologico è risultato migliorato con la quasi completa normalizzazione dell’udito e della funzione motoria mentre la vista ha avuto miglioramenti meno evidenti. Nonostante sia noto come l’esposizione al cobalto possa determinare effetti biologici avversi, la rilevanza clinica è piuttosto controversa poichè il ruolo del cobalto o delle leghe cromo-cobalto sui tessuti e organi umani non è ancora stato chiarito. In effetti, accanto al ben noto effetto dell’intossicazione esogena da cobalto nella genesi di disturbi tiroidei, cardiaci e respiratori (questi ultimi non rilevati nella nostra paziente), gli effetti tossici sul sistema nervoso centrale (atrofia ottica, sordità neurosensoriale e parestesie agli arti) sono stati descritti raramente. I case report presenti in letteratura sono solamente 3 nonostante l’esposizione endogena a metalli sia ben documentata in casistiche cliniche e principalmente correlata alle protesi metalliche che producono detriti da corrosione e rilascio di ioni metallici. Il caso che presentiamo, caratterizzato da una esposizione cronica a cobalto-cromo endogeni a concentrazioni straordinarie, è paradigmatico e sottolinea le potenziali conseguenze che possono derivare dagli impianti metallici. Sebbene l’artroprotesi totale e l’artroplastica di anca siano procedure molto diffuse praticate con successo, raccomandiamo un follow-up a lungo termine e accurato, indispensabile per rilevare effetti avversi sistemici dovuti all’esposizione prolungata ad elevate concentrazioni di cobalto. In quest’ottica, oltre alla valutazione ortopedica, raccomandiamo vivamente un’attenta valutazione neurologica e tossicologica qualora un paziente portatore di impianto protesico lamentasse disturbi visivi e/o uditivi, ipostenia degli arti, parestesie anche in assenza di sintomi locali osteoarticolari.
gen-2009
Settore BIO/14 - Farmacologia
http://www.sitox.org/congresso_09/abs_stato.php
Cobalto e neurotossicità: una lezione dalle artroprotesi d’anca / M.C. Rizzetti, P. Liberini, S. Catalani, P. Apostoli, M. Marinovich, A. Padovani. ((Intervento presentato al 15. convegno Congresso Nazionale della Società Italiana di Tossicologia tenutosi a Verona nel 2009.
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