Qualche anno fa, il noto sociologo tedesco Ulrick Beck (2002) scriveva che le analisi sociali contemporanee erano ancora troppo vincolate a categorie analitiche oramai desuete. Fra queste egli inseriva quelle di “famiglia”, “classe”, “vicinato” e molte altre. Tanto desuete da chiamarle “zombie categories”, cioè morti viventi . Uno dei risultati della ricerca qualitativa ci porta ad affermare con certezza che anche la categoria “anziano” fa parte di queste. Infatti se quasi tutte le ricerche sociali mettono in luce come non esistano più i “giovani” come agglomerato unitario, lo stesso si può dire ora per gli “anziani”, un concetto fuzzy, dai contorni sfrangiati. “Anziano” è quindi un concetto che dovrebbe essere abbandonato perché incapace di descrivere la fenomenologia della realtà contemporanea che vorrebbe rappresentare. “Anziano” è un concetto figlio della società moderna, una formazione sociale incentrata sul lavoro (agricolo o industriale che fosse); per cui chi non era più produttivo (si usava il termine “attivo”!) diventava automaticamente marginale. Di conseguenza anzianità e marginalità si sposavano perfettamente. Ora questo matrimonio è saltato. Molti studiosi da decenni affermano che nella società post-moderna la centralità del lavoro si è molto ridimensionata. Non solo perché il precariato e la disoccupazione sono diventati elementi stabili e non più devianti (pensiamo solo a come la percezione del fenomeno del non avere un’occupazione stabile sia cambiato nel tempo: se negli anni Sessanta un tale soggetto sarebbe stato definito un disoccupato, ora invece viene considerato un lavoratore interinale, atipico o precario). Ma anche perché accanto al lavoro sono nati nuovi bisogni, esigenze, valori come la cura di sé e del corpo, il tempo libero, il divertimento, la socialità, l’eros [cfr. il recente film tedesco Wolke Neun (2008), del regista Andreas Dresen, sulla vita sessuale degli over 65], che hanno intaccato la centralità del lavoro. Non va molto meglio per il concetto “over 65” perché questo “numero magico” in realtà non segna una vera linea di confine. Il fatto di andare in pensione a quell’età (con la conseguente modifica delle attività quotidiane) riguarda prevalentemente i lavoratori dipendenti. Non riguarda i lavoratori autonomi e coloro che hanno un’attività in proprio; né coloro che non hanno mai avuto una lavoro subordinato (ad esempio le casalinghe). Tutte queste persone dopo i 65 continuano a fare quello che facevano prima, a volte anche con maggior intensità. In altre parole “ai giardinetti” troviamo solo un certo tipo di over 65, per nulla rappresentativo della categoria. La ricerca qualitativa evidenza come quello degli over 65 sia un mondo policromo, di una varietà impressionante, ricchissimo di esperienze difformi e addirittura contrapposte. Si distribuisce su un continnum ai cui estremi ci stanno, da una parte le persona “allettate” e non autosufficienti, e dall’altra i professionisti affermati o i politici (di lungo corso) che sono spesso in TV. Quello che hanno in comune questi estremi è soltanto un dato anagrafico. Nulla di più. Per questo appare teoricamente debole ed empiricamente infondato inserirli sotto la stessa categoria: over 65.

L’anziano come processo / G. Gobo, A.L. Tota - In: 65+ : analisi sulla condizione di vita dopo i 65 / [a cura di] N. Piepoli, R. Baldassari. - Roma : Regione Lazio, 2009 Sep. - pp. 17-65

L’anziano come processo

G. Gobo
Primo
;
2009

Abstract

Qualche anno fa, il noto sociologo tedesco Ulrick Beck (2002) scriveva che le analisi sociali contemporanee erano ancora troppo vincolate a categorie analitiche oramai desuete. Fra queste egli inseriva quelle di “famiglia”, “classe”, “vicinato” e molte altre. Tanto desuete da chiamarle “zombie categories”, cioè morti viventi . Uno dei risultati della ricerca qualitativa ci porta ad affermare con certezza che anche la categoria “anziano” fa parte di queste. Infatti se quasi tutte le ricerche sociali mettono in luce come non esistano più i “giovani” come agglomerato unitario, lo stesso si può dire ora per gli “anziani”, un concetto fuzzy, dai contorni sfrangiati. “Anziano” è quindi un concetto che dovrebbe essere abbandonato perché incapace di descrivere la fenomenologia della realtà contemporanea che vorrebbe rappresentare. “Anziano” è un concetto figlio della società moderna, una formazione sociale incentrata sul lavoro (agricolo o industriale che fosse); per cui chi non era più produttivo (si usava il termine “attivo”!) diventava automaticamente marginale. Di conseguenza anzianità e marginalità si sposavano perfettamente. Ora questo matrimonio è saltato. Molti studiosi da decenni affermano che nella società post-moderna la centralità del lavoro si è molto ridimensionata. Non solo perché il precariato e la disoccupazione sono diventati elementi stabili e non più devianti (pensiamo solo a come la percezione del fenomeno del non avere un’occupazione stabile sia cambiato nel tempo: se negli anni Sessanta un tale soggetto sarebbe stato definito un disoccupato, ora invece viene considerato un lavoratore interinale, atipico o precario). Ma anche perché accanto al lavoro sono nati nuovi bisogni, esigenze, valori come la cura di sé e del corpo, il tempo libero, il divertimento, la socialità, l’eros [cfr. il recente film tedesco Wolke Neun (2008), del regista Andreas Dresen, sulla vita sessuale degli over 65], che hanno intaccato la centralità del lavoro. Non va molto meglio per il concetto “over 65” perché questo “numero magico” in realtà non segna una vera linea di confine. Il fatto di andare in pensione a quell’età (con la conseguente modifica delle attività quotidiane) riguarda prevalentemente i lavoratori dipendenti. Non riguarda i lavoratori autonomi e coloro che hanno un’attività in proprio; né coloro che non hanno mai avuto una lavoro subordinato (ad esempio le casalinghe). Tutte queste persone dopo i 65 continuano a fare quello che facevano prima, a volte anche con maggior intensità. In altre parole “ai giardinetti” troviamo solo un certo tipo di over 65, per nulla rappresentativo della categoria. La ricerca qualitativa evidenza come quello degli over 65 sia un mondo policromo, di una varietà impressionante, ricchissimo di esperienze difformi e addirittura contrapposte. Si distribuisce su un continnum ai cui estremi ci stanno, da una parte le persona “allettate” e non autosufficienti, e dall’altra i professionisti affermati o i politici (di lungo corso) che sono spesso in TV. Quello che hanno in comune questi estremi è soltanto un dato anagrafico. Nulla di più. Per questo appare teoricamente debole ed empiricamente infondato inserirli sotto la stessa categoria: over 65.
anziani ; Lazio
Settore SPS/08 - Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi
set-2009
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