Rispetto ad una consolidata storiografia che ha diffuso, con particolare riferimento all’età moderna, l’immagine delle famiglie nobili come ‘forze conservatrici’ della loro ricchezza, l’analisi delle vicende economiche dei milanesi Visconti di Modrone propone l’esempio di un casato che, se durante l’ancien régime appare come una ‘forza dinamica’ nella produzione della ricchezza, fra ‘800 e ‘900 si afferma per la capacità di essere un vero e proprio innovatore nell’attività economica. Mentre la nobiltà ambrosiana - «nata commerciante», come diceva uno storico locale di fine ‘800 - presenta una spiccata vocazione produttiva, sia in ambito agricolo che mercantile, bancario e manifatturiero durante l’età moderna, è raro poter trovare dei casi di successo nella gestione economica, così duraturi, come quello rappresentato dai Visconti di Modrone. Grazie allo spoglio del materiale documentario conservato nell’Archivio Visconti di Modrone, custodito presso l’Università Cattolica del S. Cuore di Milano, questo saggio costruisce schematicamente il loro percorso economico lungo quattro secoli, inserendolo all’interno di una strategia più complessiva e globale di affermazione socio-politica che va dal periodo spagnolo fino alla società otto-novecentesca. L’azione economica dei Visconti appare così sempre in grado di allinearsi agli assetti produttivi e mercantili di maggior successo dell’economia lombarda tra Cinque e Settecento. Quando, nella prima parte del Cinquecento, la dominazione spagnola apre all’antica nobiltà milanese il diritto all’esercizio del potere civico, istituendo formalmente il patriziato, i conti di Lonate Pozzolo (il ramo da cui si formerà la casata Visconti di Modrone) ne entrano a far parte, siedono tra i decurioni del Consiglio maggiore ma non raggiungono altre cariche di governo; il loro patrimonio è totalmente fondiario, anche se si segnalano i primi rapporti con uno dei principali mercanti banchieri della città (Giuseppe Caravaggio). Alla fine del XVI secolo, Coriolano Visconti, decurione, inizia a legarsi all’ambiente dei grandi esportatori di tessuti auroserici, dei banchieri e al senatore Ludovico Magenta; il suo secondogenito, Antonio Visconti, sarà il primo del casato ad entrare nelle magistrature cittadine (dei XII di provvisione nel 1609 e giudice delle strade nel 1627), mentre dei suoi due fratelli, Nicolò diventerà ordinario della chiesa metropolitana e Giovanni Battista cavaliere gerosolimitano. Con la generazione successiva, il fulcro della ricchezza economica della famiglia si sposta decisamente verso il settore serico e creditizio. Anche i beni, i titoli e le ragioni feudali confluiti nei Visconti attraverso il matrimonio, nel 1685, del primogenito di Antonio Coriolano, Nicolò Maria e Teresa Modrone Pirovano, unica discendente della sua famiglia, hanno una chiara provenienza “serica” e finanziaria. L’unione di queste due famiglie e soprattutto il trapasso, nella linea mascolina dei Visconti, dei beni Modrone segnano un momento importante, quasi l’inizio di un nuovo casato: la nuova base patrimoniale consente ai discendenti di acquisire e di rafforzare il vero e proprio habitus (inteso come forma incorporata della condizione del ceto di appartenenza e dei condizionamenti da esso imposti) di patrizi; il loro “stile di vita” si caratterizza ora non tanto per il possesso puro e semplice, quanto per un certo modo di usare i beni che si possiedono, ovvero per la ricerca di distinzione; allo stesso tempo, la loro presenza nel «santuario dell’aristocrazia milanese, il nobile collegio dei giureconsulti» diventa più stabile. Nella seconda parte del Settecento, in sintonia con l’andamento regionale, l’equilibrio economico della casata appare saldamente incardinato sullo sfruttamento delle risorse agricole (attraverso una conduzione in prevalenza indiretta) e più distaccato dalle attività di trasformazione e di commercio del passato. L’abolizione dei fedecommessi e delle primogeniture legata all’epoca francese obbliga in seguito tutte le antiche famiglie nobili a ripensare non solo al problema della continuità della casata, ma anche all’intero modo di gestione dei loro patrimoni in un contesto economico che conosce i primi passi di un nuovo sistema produttivo e che assiste all’ampliamento dei mercati e delle dimensioni del credito; la soppressione dei vincoli sostitutori spingono così verso l’elaborazione di nuove strade per le successioni, ma anche e soprattutto verso la modificazione del proprio ruolo nei confronti del mercato dei capitali e del nascente mondo delle banche e dell’industria. Infatti quando il duca Carlo di Modrone, chiede nel 1816 la conferma a Francesco I del titolo conferitogli da Napoleone, la motiva per «aver promosso coi propri mezzi le imprese e arti utili allo Stato»: dalla navigazione sui fiumi e sui laghi alla costituzione della “Compagnia di assicurazione contro i danni degli incendi e della grandine”, dalla fabbricazione della porcellana alla lavorazione della seta. Uberto, suo cugino in terzo grado, eredita da lui (grazie alla traslazione adottiva del maggiorasco col titolo di duca) non solo l’asse patrimoniale principale della famiglia ma il fervore imprenditoriale, che indirizza subito verso la nuova è più importante frontiera dei trasporti, quella su rotaie. Con il successore di Uberto nell’amministrazione del maggiorasco ducale della casata, ha avvio l’esperienza imprenditoriale che più comunemente viene identificata con i Visconti di Modrone, e che li ha fatti assurgere ai vertici dell’elite industriale italiana otto-novecentesca, quella del cotonifico. Durante la prima metà del Novecento è poi Giuseppe a rappresentare la forza imprenditoriale più attiva dei Visconti, spaziando dalla farmaceutica (Carlo Erba) all’investimento turistico e dalla moda allo spettacolo. Una vocazione e un carattere imprenditoriale, quindi, che lega come un filo la lunga storia del casato quanto, e quasi più, dei titoli nobiliari, non derogando mai ad essi. Una tradizione imprenditoriale che non si incarna, per lo più, nella prosecuzione dell’impresa “di famiglia” o ereditata, ma che si estrinseca in uno spirito d’intrapresa che ad ogni nuova generazione rilancia verso nuove iniziative (anche molto distanti da quelle usuali). La spiegazione di questo si trova forse in una certa etica che caratterizza la nobiltà milanese, proveniente dai traffici e dalla finanza, e titolatasi sotto la dominazione spagnola, poco legata e poco avvezza al privilegio e ai diritti feudali, ma più attenta alla dinamica produttiva e ai suoi sviluppi più innovativi; in casa di Giuseppe si insegnava ai figli che «non si possono pretendere diritti o privilegi per la nascita» ma che la nobiltà comporta invece obblighi verso la collettività (e infatti tutti sosterranno questo impegno sociale).

Nobili e imprenditori : l’inconsueto caso dei Visconti di Modrone (16.-20. secolo) / G. De Luca - In: Imprenditorialità e sviluppo economico : il caso italiano (secc. 13.-20.) : Società italiana degli storici economici, Università Bocconi, 14-15 novembre 2008 / [a cura di] A. Colli, F. Amatori. - Milano : Egea, 2009. - ISBN 978-88-238-4241-0. - pp. 463-479

Nobili e imprenditori : l’inconsueto caso dei Visconti di Modrone (16.-20. secolo)

G. De Luca
Primo
2009

Abstract

Rispetto ad una consolidata storiografia che ha diffuso, con particolare riferimento all’età moderna, l’immagine delle famiglie nobili come ‘forze conservatrici’ della loro ricchezza, l’analisi delle vicende economiche dei milanesi Visconti di Modrone propone l’esempio di un casato che, se durante l’ancien régime appare come una ‘forza dinamica’ nella produzione della ricchezza, fra ‘800 e ‘900 si afferma per la capacità di essere un vero e proprio innovatore nell’attività economica. Mentre la nobiltà ambrosiana - «nata commerciante», come diceva uno storico locale di fine ‘800 - presenta una spiccata vocazione produttiva, sia in ambito agricolo che mercantile, bancario e manifatturiero durante l’età moderna, è raro poter trovare dei casi di successo nella gestione economica, così duraturi, come quello rappresentato dai Visconti di Modrone. Grazie allo spoglio del materiale documentario conservato nell’Archivio Visconti di Modrone, custodito presso l’Università Cattolica del S. Cuore di Milano, questo saggio costruisce schematicamente il loro percorso economico lungo quattro secoli, inserendolo all’interno di una strategia più complessiva e globale di affermazione socio-politica che va dal periodo spagnolo fino alla società otto-novecentesca. L’azione economica dei Visconti appare così sempre in grado di allinearsi agli assetti produttivi e mercantili di maggior successo dell’economia lombarda tra Cinque e Settecento. Quando, nella prima parte del Cinquecento, la dominazione spagnola apre all’antica nobiltà milanese il diritto all’esercizio del potere civico, istituendo formalmente il patriziato, i conti di Lonate Pozzolo (il ramo da cui si formerà la casata Visconti di Modrone) ne entrano a far parte, siedono tra i decurioni del Consiglio maggiore ma non raggiungono altre cariche di governo; il loro patrimonio è totalmente fondiario, anche se si segnalano i primi rapporti con uno dei principali mercanti banchieri della città (Giuseppe Caravaggio). Alla fine del XVI secolo, Coriolano Visconti, decurione, inizia a legarsi all’ambiente dei grandi esportatori di tessuti auroserici, dei banchieri e al senatore Ludovico Magenta; il suo secondogenito, Antonio Visconti, sarà il primo del casato ad entrare nelle magistrature cittadine (dei XII di provvisione nel 1609 e giudice delle strade nel 1627), mentre dei suoi due fratelli, Nicolò diventerà ordinario della chiesa metropolitana e Giovanni Battista cavaliere gerosolimitano. Con la generazione successiva, il fulcro della ricchezza economica della famiglia si sposta decisamente verso il settore serico e creditizio. Anche i beni, i titoli e le ragioni feudali confluiti nei Visconti attraverso il matrimonio, nel 1685, del primogenito di Antonio Coriolano, Nicolò Maria e Teresa Modrone Pirovano, unica discendente della sua famiglia, hanno una chiara provenienza “serica” e finanziaria. L’unione di queste due famiglie e soprattutto il trapasso, nella linea mascolina dei Visconti, dei beni Modrone segnano un momento importante, quasi l’inizio di un nuovo casato: la nuova base patrimoniale consente ai discendenti di acquisire e di rafforzare il vero e proprio habitus (inteso come forma incorporata della condizione del ceto di appartenenza e dei condizionamenti da esso imposti) di patrizi; il loro “stile di vita” si caratterizza ora non tanto per il possesso puro e semplice, quanto per un certo modo di usare i beni che si possiedono, ovvero per la ricerca di distinzione; allo stesso tempo, la loro presenza nel «santuario dell’aristocrazia milanese, il nobile collegio dei giureconsulti» diventa più stabile. Nella seconda parte del Settecento, in sintonia con l’andamento regionale, l’equilibrio economico della casata appare saldamente incardinato sullo sfruttamento delle risorse agricole (attraverso una conduzione in prevalenza indiretta) e più distaccato dalle attività di trasformazione e di commercio del passato. L’abolizione dei fedecommessi e delle primogeniture legata all’epoca francese obbliga in seguito tutte le antiche famiglie nobili a ripensare non solo al problema della continuità della casata, ma anche all’intero modo di gestione dei loro patrimoni in un contesto economico che conosce i primi passi di un nuovo sistema produttivo e che assiste all’ampliamento dei mercati e delle dimensioni del credito; la soppressione dei vincoli sostitutori spingono così verso l’elaborazione di nuove strade per le successioni, ma anche e soprattutto verso la modificazione del proprio ruolo nei confronti del mercato dei capitali e del nascente mondo delle banche e dell’industria. Infatti quando il duca Carlo di Modrone, chiede nel 1816 la conferma a Francesco I del titolo conferitogli da Napoleone, la motiva per «aver promosso coi propri mezzi le imprese e arti utili allo Stato»: dalla navigazione sui fiumi e sui laghi alla costituzione della “Compagnia di assicurazione contro i danni degli incendi e della grandine”, dalla fabbricazione della porcellana alla lavorazione della seta. Uberto, suo cugino in terzo grado, eredita da lui (grazie alla traslazione adottiva del maggiorasco col titolo di duca) non solo l’asse patrimoniale principale della famiglia ma il fervore imprenditoriale, che indirizza subito verso la nuova è più importante frontiera dei trasporti, quella su rotaie. Con il successore di Uberto nell’amministrazione del maggiorasco ducale della casata, ha avvio l’esperienza imprenditoriale che più comunemente viene identificata con i Visconti di Modrone, e che li ha fatti assurgere ai vertici dell’elite industriale italiana otto-novecentesca, quella del cotonifico. Durante la prima metà del Novecento è poi Giuseppe a rappresentare la forza imprenditoriale più attiva dei Visconti, spaziando dalla farmaceutica (Carlo Erba) all’investimento turistico e dalla moda allo spettacolo. Una vocazione e un carattere imprenditoriale, quindi, che lega come un filo la lunga storia del casato quanto, e quasi più, dei titoli nobiliari, non derogando mai ad essi. Una tradizione imprenditoriale che non si incarna, per lo più, nella prosecuzione dell’impresa “di famiglia” o ereditata, ma che si estrinseca in uno spirito d’intrapresa che ad ogni nuova generazione rilancia verso nuove iniziative (anche molto distanti da quelle usuali). La spiegazione di questo si trova forse in una certa etica che caratterizza la nobiltà milanese, proveniente dai traffici e dalla finanza, e titolatasi sotto la dominazione spagnola, poco legata e poco avvezza al privilegio e ai diritti feudali, ma più attenta alla dinamica produttiva e ai suoi sviluppi più innovativi; in casa di Giuseppe si insegnava ai figli che «non si possono pretendere diritti o privilegi per la nascita» ma che la nobiltà comporta invece obblighi verso la collettività (e infatti tutti sosterranno questo impegno sociale).
Imprenditori ; Nobiltà ; Sviluppo economico ; Milano ; 16.-20. secolo
Settore SECS-P/12 - Storia Economica
2009
Book Part (author)
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.
Pubblicazioni consigliate

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2434/139385
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus 13
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact