Questo saggio prende le mosse dall’approdo al porto sudafricano di Durban di un cargo cinese carico di armi, nell’aprile 2008. La destinazione, il Ministero della difesa dello Zimbabwe, paese in una situazione di gravissima tensione politica, non inibisce le autorità sudafricane dal concedere il nulla osta al trasporto via terra del container, ma provoca l’opposizione della società civile sudafricana e namibiana. Successive pressioni dall’Occidente determinano il richiamo della nave in Cina (paragrafo 2). Questo caso permette di analizzare la crisi zimbab- wana nella dimensione intermestica in cui si sviluppa la vicenda: il macrocontesto della comunità economica regionale (REC) 1 della Southern African Development Community (SADC), laddove gli Stati-membri si limitano ad esprimere, al più, condanne formali della situazione zimbabwana, a dispetto del coinvolgimento diretto. Lo Stato di Robert Mugabe, infatti, non ha esitato ad armarsi contro i propri cittadini, costretti a un’emorragia costante, verso gli Stati vicini (Sudafrica, soprattutto) o verso l’Inghilterra. Si è trattato dell’ennesima occasione perduta, offerta in almeno sei anni di mediazione SADC a guida sudafricana, per mettere finalmente sul tavolo la delicata agenda della human security nella regione. Mai è stato concretamente difeso in quell’ambito regionale il primato della sostenibilità economica, sociale e politica dei cittadini comunitari,quale prerequisito a qualsiasi politica di sviluppo economico. Forse, si sarebbe potuti virare allora in quella direzione, muovendo dalla condanna unanime del regime autoritario meno difendibile, in quella compagine, e nel sostegno ai suoi oppositori (paragrafo 3), invece, la volontà di operare una mediazione è apparsa da subito imbrigliata dai retaggi della dimensione post-coloniale e post-apartheid che lega ancora i partiti dei Governi della regione, ex-movimenti di liberazione (paragrafo 4.1). Si assiste così all’immobilismo della SADC, il cui organo decisionale, il Forum dei parlamentari degli Stati-membri, apparentemente annichilito nel timore che siano travalicati i limiti della sovranità degli Stati comunitari, sembra impegnarsi, piuttosto, nell’implementare una farraginosa architettura di istituzionalizzazione dei problemi. Nello sviluppo parallelo di strategie nazionali (paragrafo 4.2), bilaterali (paragrafo 4.3) e di complessi strumenti comunitari, in accordo con le agende continentali e internazionali (paragrafo 4.4 e 4.5), si analizza qui la fattispecie dell’“incidente”: ovvero il controllo della proliferazione e distribuzione indiscriminata sul territorio regionale di armi di piccolo calibro e leggere.

La Southern African Development Community (SADC) e il controllo della proliferazione delle armi leggere / C. Fiamingo (COLLANA DI STUDI SCIENTIFICI / UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO, DIPARTIMENTO DI STUDI INTERNAZIONALI, GIURIDICI E STORICO-POLITICI). - In: Le armi nel mondo contemporaneo : temi scelti su proliferazione, regimi di controllo e disarmo / [a cura di] E. Giunchi, C. Ponti. - Prima edizione. - [s.l] : Giappichelli, 2019 Nov. - ISBN 9788892110083. - pp. 195-221

La Southern African Development Community (SADC) e il controllo della proliferazione delle armi leggere

C. Fiamingo
2019

Abstract

Questo saggio prende le mosse dall’approdo al porto sudafricano di Durban di un cargo cinese carico di armi, nell’aprile 2008. La destinazione, il Ministero della difesa dello Zimbabwe, paese in una situazione di gravissima tensione politica, non inibisce le autorità sudafricane dal concedere il nulla osta al trasporto via terra del container, ma provoca l’opposizione della società civile sudafricana e namibiana. Successive pressioni dall’Occidente determinano il richiamo della nave in Cina (paragrafo 2). Questo caso permette di analizzare la crisi zimbab- wana nella dimensione intermestica in cui si sviluppa la vicenda: il macrocontesto della comunità economica regionale (REC) 1 della Southern African Development Community (SADC), laddove gli Stati-membri si limitano ad esprimere, al più, condanne formali della situazione zimbabwana, a dispetto del coinvolgimento diretto. Lo Stato di Robert Mugabe, infatti, non ha esitato ad armarsi contro i propri cittadini, costretti a un’emorragia costante, verso gli Stati vicini (Sudafrica, soprattutto) o verso l’Inghilterra. Si è trattato dell’ennesima occasione perduta, offerta in almeno sei anni di mediazione SADC a guida sudafricana, per mettere finalmente sul tavolo la delicata agenda della human security nella regione. Mai è stato concretamente difeso in quell’ambito regionale il primato della sostenibilità economica, sociale e politica dei cittadini comunitari,quale prerequisito a qualsiasi politica di sviluppo economico. Forse, si sarebbe potuti virare allora in quella direzione, muovendo dalla condanna unanime del regime autoritario meno difendibile, in quella compagine, e nel sostegno ai suoi oppositori (paragrafo 3), invece, la volontà di operare una mediazione è apparsa da subito imbrigliata dai retaggi della dimensione post-coloniale e post-apartheid che lega ancora i partiti dei Governi della regione, ex-movimenti di liberazione (paragrafo 4.1). Si assiste così all’immobilismo della SADC, il cui organo decisionale, il Forum dei parlamentari degli Stati-membri, apparentemente annichilito nel timore che siano travalicati i limiti della sovranità degli Stati comunitari, sembra impegnarsi, piuttosto, nell’implementare una farraginosa architettura di istituzionalizzazione dei problemi. Nello sviluppo parallelo di strategie nazionali (paragrafo 4.2), bilaterali (paragrafo 4.3) e di complessi strumenti comunitari, in accordo con le agende continentali e internazionali (paragrafo 4.4 e 4.5), si analizza qui la fattispecie dell’“incidente”: ovvero il controllo della proliferazione e distribuzione indiscriminata sul territorio regionale di armi di piccolo calibro e leggere.
SADC; traffico; commercio; armi leggere; Zimbabwe; Namibia; Sudafrica; Mozambico
Settore SPS/13 - Storia e Istituzioni Dell'Africa
nov-2019
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