Il cavaliere e la morte (1988) di Sciascia è un libro di grande intensità. In prima approssimazione segna il ritorno di Sciascia al giallo, quattordici anni dopo Todo modo. Ma, fin dall’avvio e dal paratesto, costruisce un gioco di rimandi particolarmente denso fra letteratura e immagine: qui, la celebre incisione di Dürer, Ritter, Tod und Teufel (1513), di cui il protagonista, un commissario di polizia chiamato emblematicamente Vice, possiede un esemplare in ufficio. Scritto quando già Sciascia sapeva di essere gravemente malato, Il cavaliere e la morte è un thriller metafisico e però al tempo stesso una sintetica Ars moriendi, caratterizzata da un laicismo radicale, che rifiuta sia la fede sia l’ateismo, mettendole però anche in cortocircuito con la morte delle ideologie di quegli anni. Alla collocazione emblematica della vicenda nel 1989, cioè in un futuro molto prossimo, fa riscontro d’altro canto l’assenza di determinazioni spaziali, a ribadire e accentuare la dimensione simbolica. Inoltre, il dissimulato ma pure ben percepibile autobiografismo del romanzo fa tutt’uno con la densità peculiare del suo tessuto intertestuale, dando luogo a una dimensione meta-narrativa dove il discorso sulla letteratura e quello sulla vita si mescolano. E così, proprio davanti alla morte Sciascia riesce sorprendentemente a parlarci non solo della felicità della lettura e della letteratura, ma anche della felicità del vivere, nonostante tutto.

Guardando Dürer, leggendo Stevenson : Sciascia, Il cavaliere e la morte / G. Turchetta. - In: SINESTESIE. - ISSN 1721-3509. - 17:(2019 Sep), pp. 493-501.

Guardando Dürer, leggendo Stevenson : Sciascia, Il cavaliere e la morte

G. Turchetta
2019

Abstract

Il cavaliere e la morte (1988) di Sciascia è un libro di grande intensità. In prima approssimazione segna il ritorno di Sciascia al giallo, quattordici anni dopo Todo modo. Ma, fin dall’avvio e dal paratesto, costruisce un gioco di rimandi particolarmente denso fra letteratura e immagine: qui, la celebre incisione di Dürer, Ritter, Tod und Teufel (1513), di cui il protagonista, un commissario di polizia chiamato emblematicamente Vice, possiede un esemplare in ufficio. Scritto quando già Sciascia sapeva di essere gravemente malato, Il cavaliere e la morte è un thriller metafisico e però al tempo stesso una sintetica Ars moriendi, caratterizzata da un laicismo radicale, che rifiuta sia la fede sia l’ateismo, mettendole però anche in cortocircuito con la morte delle ideologie di quegli anni. Alla collocazione emblematica della vicenda nel 1989, cioè in un futuro molto prossimo, fa riscontro d’altro canto l’assenza di determinazioni spaziali, a ribadire e accentuare la dimensione simbolica. Inoltre, il dissimulato ma pure ben percepibile autobiografismo del romanzo fa tutt’uno con la densità peculiare del suo tessuto intertestuale, dando luogo a una dimensione meta-narrativa dove il discorso sulla letteratura e quello sulla vita si mescolano. E così, proprio davanti alla morte Sciascia riesce sorprendentemente a parlarci non solo della felicità della lettura e della letteratura, ma anche della felicità del vivere, nonostante tutto.
Leonardo Sciascia; intertestualità; thriller metafisico; focalizzazione interna; ars moriendi
Settore L-FIL-LET/11 - Letteratura Italiana Contemporanea
Settore L-FIL-LET/10 - Letteratura Italiana
Settore L-FIL-LET/14 - Critica Letteraria e Letterature Comparate
set-2019
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