Il libro prende in considerazione, contestualizzandola,la posizione assunta da Platone nei confronti della scrittura. Il primo capitolo ricostruisce le problematiche connesse alla compresenza, e al progressivo avvicendamento, di oralità e scrittura sullo scorcio del V secolo, attraverso testi ed autori precedenti o contemporanei a Platone. L''esito di questa analisi consiste nel rilevare che le superficiali analogie tra le critiche di Platone alla scrittura e quelle di altri autori non riescono a nascondere una profonda divergenza teorica, dal momento che la posizione di Platone nei confronti del mezzo scritto non ha carattere puramente formale, ma corrisponde a ben precise istante teoretiche. E'' proprio la presenza di queste istanze ciò che impedisce di accogliere il cosiddetto nuovo paradigma ermeneutico proposto dagli studiosi della scuola di Tübingen-Milano, secondo cui la preferenza accordata da Platone all''oralità rivelerebbe che egli intendeva come fondamento e culmine della sua filosofia le dottrine orali che andava esponendo nell''Accademia alla cerchia ristretta dei suoi discepoli. Alla luce del Fedro e della VII Lettera (ossia i testi che contengono quelle che i "tubinghesi" chiamo autotestimonianze di Platone in favore delle dottrine non scritte) si può invece dimostrare che per Platone il primato dell''oralità non coincide con il primato di certe dottrine (quelle esposte oralmente a pochi) su altre (quelle esposte per iscritto a molti), ma con il primato della situazione di apertura consentita solo dalla parola orale e dialogica contro la chiusura teorica inerente alla fissità dello scritto (che in quanto tale non risponde, e dunque non può promuovere il proprio aggiornamento). Da questo quadro si ricava che per Platone il primato dell''oralità significa esattamente l''opposto di quanto ritengono i tubinghesi: esso infatti non rinvia a una dottrina orale fissa ed ultimativa, ma piuttosto richiama la necessità che la verità filosofica, per quanto tutt''altro che inattingibile dall''uomo, rimanga sempre aperta, aggiornabile, e disponibile ad affrontare ogni futuro tentativo di confutazione. Il libro si chiude con un rapido confronto tra Platone ed Aristotele: per quanto infatti non si possa dire che questi fosse un filosofo dogmatico, è con Aristotele che si consolida il primato della scrittura, e dunque anche il primato della teoria ordinatamente esposta in trattati sulla mobile e duttile materia del dialogo. Questa differenza, d''altra parte, corrisponde perfettamente al fatto che Aristotele ha rifiutato esplicitamente il dualismo metafisico così come l''aveva concepito Platone, in cui ciò che ha carattere trascendente (ossia le idee) è anche ciò che sarebbe indispensabile possedere per promuovere una conoscenza certa ed ultimativa della realtà. Ma siccome questo possesso, come si legge ad esempio nel Fedone, è riservato da Platone all''anima disincarnata, ne consegue che la filosofia è una disciplina destinata a rimanere sempre incompiuta (a differenza della sophia, che non a caso, come si legge nel Simposio e nel Fedro, è appannaggio esclusivo degli dei). Al contrario, Aristotele dimostra nella sua Metafisica una sostanziale fiducia nel fatto che il sapere identificato dalla sophia sia accessibile all''uomo.

La verità nascosta : oralità e scrittura in Platone e nella Grecia classica / F. Trabattoni. - Roma : Carocci, 2005. - ISBN 8843033093.

La verità nascosta : oralità e scrittura in Platone e nella Grecia classica

F. Trabattoni
Primo
2005

Abstract

Il libro prende in considerazione, contestualizzandola,la posizione assunta da Platone nei confronti della scrittura. Il primo capitolo ricostruisce le problematiche connesse alla compresenza, e al progressivo avvicendamento, di oralità e scrittura sullo scorcio del V secolo, attraverso testi ed autori precedenti o contemporanei a Platone. L''esito di questa analisi consiste nel rilevare che le superficiali analogie tra le critiche di Platone alla scrittura e quelle di altri autori non riescono a nascondere una profonda divergenza teorica, dal momento che la posizione di Platone nei confronti del mezzo scritto non ha carattere puramente formale, ma corrisponde a ben precise istante teoretiche. E'' proprio la presenza di queste istanze ciò che impedisce di accogliere il cosiddetto nuovo paradigma ermeneutico proposto dagli studiosi della scuola di Tübingen-Milano, secondo cui la preferenza accordata da Platone all''oralità rivelerebbe che egli intendeva come fondamento e culmine della sua filosofia le dottrine orali che andava esponendo nell''Accademia alla cerchia ristretta dei suoi discepoli. Alla luce del Fedro e della VII Lettera (ossia i testi che contengono quelle che i "tubinghesi" chiamo autotestimonianze di Platone in favore delle dottrine non scritte) si può invece dimostrare che per Platone il primato dell''oralità non coincide con il primato di certe dottrine (quelle esposte oralmente a pochi) su altre (quelle esposte per iscritto a molti), ma con il primato della situazione di apertura consentita solo dalla parola orale e dialogica contro la chiusura teorica inerente alla fissità dello scritto (che in quanto tale non risponde, e dunque non può promuovere il proprio aggiornamento). Da questo quadro si ricava che per Platone il primato dell''oralità significa esattamente l''opposto di quanto ritengono i tubinghesi: esso infatti non rinvia a una dottrina orale fissa ed ultimativa, ma piuttosto richiama la necessità che la verità filosofica, per quanto tutt''altro che inattingibile dall''uomo, rimanga sempre aperta, aggiornabile, e disponibile ad affrontare ogni futuro tentativo di confutazione. Il libro si chiude con un rapido confronto tra Platone ed Aristotele: per quanto infatti non si possa dire che questi fosse un filosofo dogmatico, è con Aristotele che si consolida il primato della scrittura, e dunque anche il primato della teoria ordinatamente esposta in trattati sulla mobile e duttile materia del dialogo. Questa differenza, d''altra parte, corrisponde perfettamente al fatto che Aristotele ha rifiutato esplicitamente il dualismo metafisico così come l''aveva concepito Platone, in cui ciò che ha carattere trascendente (ossia le idee) è anche ciò che sarebbe indispensabile possedere per promuovere una conoscenza certa ed ultimativa della realtà. Ma siccome questo possesso, come si legge ad esempio nel Fedone, è riservato da Platone all''anima disincarnata, ne consegue che la filosofia è una disciplina destinata a rimanere sempre incompiuta (a differenza della sophia, che non a caso, come si legge nel Simposio e nel Fedro, è appannaggio esclusivo degli dei). Al contrario, Aristotele dimostra nella sua Metafisica una sostanziale fiducia nel fatto che il sapere identificato dalla sophia sia accessibile all''uomo.
2005
cultura orale ; civiltà della scrittura ; dottrine non scritte in Platone ; Settima Lettera ; metafisica
Settore M-FIL/07 - Storia della Filosofia Antica
La verità nascosta : oralità e scrittura in Platone e nella Grecia classica / F. Trabattoni. - Roma : Carocci, 2005. - ISBN 8843033093.
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