Come è noto, la gabella del sale costituì uno dei cespiti principali della finanza pubblica dell’Italia centro settentrionale fra la fine del Duecento e l’età moderna. Questa ricerca tuttavia ha posto in secondo piano una considerazione solamente economica dell’imposta del sale per cercare invece di mettere in evidenza le finalità politiche della sua introduzione e la sua faticosa elaborazione, frutto di fattori legati alle difficoltà dei governi cittadini dell’ultimo Duecento davanti alle esenzioni e ai privilegi fiscali in un contesto di crescenti necessità di spesa. Le origini e la funzione economico-politica della gabella del sale non possono certo dirsi esaurite nel concetto di “monopolio di produzione e di vendita” e di “distribuzione forzosa” che sono quelli comunemente adottati dalla storiografia. In realtà il ruolo politico svolto dalla fiscalità del sale nell’Italia settentrionale si coglie nel fatto che l’imposizione della gabella fu non solo la manifestazione del controllo della città sul territorio ma anche uno strumento per lo stesso controllo. Si è quindi condotta un’indagine che ha evidenziato il progressivo sviluppo dell’imposta in diverse città dell’Italia settentrionale, sottolineando le differenze con l’area toscana, che poteva contare su fonti autonome di approvvigionamento. L’estensione dell’imposizione coatta del sale in buona parte dell’Italia settentrionale nell’ultimo ventennio del Duecento, fu la prova di forza della città sia nei confronti dei borghi con tradizioni di autonomia, sia dei poteri signorili sul territorio, che si fecero difensori dell’indipendenza della distribuzione. L’alta redditività della gabella consentì in alcuni casi l’abbandono dell’imposta diretta basata sull’estimo, per la certezza di un reddito sicuro che poteva essere offerto ai creditori dello stato a garanzia del rimborso dei prestiti. Con la formazione del dominio visconteo il monopolio del sale sull’intero stato regionale fu avocato direttamente dal signore, che si pose quale interlocutore unico per le importazioni con i fornitori, Genova e soprattutto Venezia, facendo del sale la prima fonte di entrata indipendente dalle diverse tesorerie cittadine e, grazie alla possibilità di fissarne il prezzo, uno strumento politico. In particolare l‘indagine condotta sulla documentazione edita e inedita di Cremona fra fine Duecento e inizio Trecento ha posto in luce aspetti nuovi delle scelte fiscali della città lombarda, dove la gabella del sale fu una risposta del comune di Popolo sia al monopolio imposto da Venezia per le forniture del sale, sia, e soprattutto, alla volontà di non ricorrere all’imposta diretta, il fodro, che suscitava forti opposizioni.

La gabella del sale nell'Italia del Nord: secoli 13.-14 / M.P. Mainoni - In: Politiche finanziarie e fiscali nell'Italia settentrionale: secoli 13.-15. / Patrizia Mainoni. - Milano : UNICOPLI, 2001. - ISBN 8840007024. - pp. 39-86

La gabella del sale nell'Italia del Nord: secoli 13.-14.

M.P. Mainoni
2001

Abstract

Come è noto, la gabella del sale costituì uno dei cespiti principali della finanza pubblica dell’Italia centro settentrionale fra la fine del Duecento e l’età moderna. Questa ricerca tuttavia ha posto in secondo piano una considerazione solamente economica dell’imposta del sale per cercare invece di mettere in evidenza le finalità politiche della sua introduzione e la sua faticosa elaborazione, frutto di fattori legati alle difficoltà dei governi cittadini dell’ultimo Duecento davanti alle esenzioni e ai privilegi fiscali in un contesto di crescenti necessità di spesa. Le origini e la funzione economico-politica della gabella del sale non possono certo dirsi esaurite nel concetto di “monopolio di produzione e di vendita” e di “distribuzione forzosa” che sono quelli comunemente adottati dalla storiografia. In realtà il ruolo politico svolto dalla fiscalità del sale nell’Italia settentrionale si coglie nel fatto che l’imposizione della gabella fu non solo la manifestazione del controllo della città sul territorio ma anche uno strumento per lo stesso controllo. Si è quindi condotta un’indagine che ha evidenziato il progressivo sviluppo dell’imposta in diverse città dell’Italia settentrionale, sottolineando le differenze con l’area toscana, che poteva contare su fonti autonome di approvvigionamento. L’estensione dell’imposizione coatta del sale in buona parte dell’Italia settentrionale nell’ultimo ventennio del Duecento, fu la prova di forza della città sia nei confronti dei borghi con tradizioni di autonomia, sia dei poteri signorili sul territorio, che si fecero difensori dell’indipendenza della distribuzione. L’alta redditività della gabella consentì in alcuni casi l’abbandono dell’imposta diretta basata sull’estimo, per la certezza di un reddito sicuro che poteva essere offerto ai creditori dello stato a garanzia del rimborso dei prestiti. Con la formazione del dominio visconteo il monopolio del sale sull’intero stato regionale fu avocato direttamente dal signore, che si pose quale interlocutore unico per le importazioni con i fornitori, Genova e soprattutto Venezia, facendo del sale la prima fonte di entrata indipendente dalle diverse tesorerie cittadine e, grazie alla possibilità di fissarne il prezzo, uno strumento politico. In particolare l‘indagine condotta sulla documentazione edita e inedita di Cremona fra fine Duecento e inizio Trecento ha posto in luce aspetti nuovi delle scelte fiscali della città lombarda, dove la gabella del sale fu una risposta del comune di Popolo sia al monopolio imposto da Venezia per le forniture del sale, sia, e soprattutto, alla volontà di non ricorrere all’imposta diretta, il fodro, che suscitava forti opposizioni.
fiscalità sale Italia settentrionale secoli XIII-XV
Settore M-STO/01 - Storia Medievale
2001
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