L’aterosclerosi è una malattia generalizzata della parete arteriosa che può progredire o regredire in funzione di una miscellanea di fattori. È un processo dinamico, caratterizzato da modifiche della parete arteriosa che possono restare silenti per tutta la vita o manifestarsi clinicamente con episodi vascolari acuti. Poiché la progressione della patologia aterosclerotica avviene in decenni e poiché l’episodio vascolare acuto è un evento relativamente raro, gli studi epidemiologici e i trials clinici volti a valutare i determinanti della malattia o l’effetto di interventi terapeutici richiedono lunghi periodi di follow-up, un numero elevato di partecipanti e, di conseguenza, costi estremamente elevati. Per superare questi limiti, negli ultimi anni un interesse primario è stato rivolto all’identificazione di marker surrogati di patologia aterosclerotica. La validità di un marker surrogato quale sostituto dell’endpoint clinico dipende da tre condizioni: 1) deve essere più sensibile, meno raro e più facile da valutare (preferibilmente con tecniche non invasive) dell’endpoint clinico che deve sostituire, 2) la relazione causale tra il marker surrogato e l’endpoint clinico deve essere stabilito sulla base di studi epidemiologici, fisiopatologici e clinici (ad es. è prerequisito essenziale che il paziente con e senza malattia vascolare esibisca differenze nella misura del marker surrogato), 3) negli studi di intervento, il beneficio clinico deve essere deducibile dalle variazioni osservate nel marker surrogato. Una volta validato, un marker surrogato può essere utilizzato per valutare i determinanti della malattia, così come l’efficacia di nuovi interventi terapeutici, con costi e tempi inferiori rispetto a quelli necessari per valutare l’endpoint clinico. Un altro aspetto estremamente favorevole nell’uso di un marker surrogato rispetto all’utilizzo diretto dell’endpoint clinico sta nel fatto che il primo può fornire informazioni fisiopatologiche ad uno stadio molto più precoce del processo patologico. I primi markers surrogato ad essere utilizzati sono stati l’angiografia e la flussimetria Doppler. Nonostante l’indubbia rilevanza clinica, queste tecniche non forniscono informazioni utili nelle fasi iniziali della patologia quando sono presenti solo ispessimenti di parete precedenti la formazione di lesioni vere e proprie. Il doppler può identificare una stenosi solo quando c’è una riduzione del 40-50% dell’area del lume e l’angiografia può visualizzare variazioni del diametro del lume solo in stadi molto tardivi del processo patologico. Entrambe le tecniche, inoltre, sono inadeguate in considerazione dell’iniziale rimodellamento della parete arteriosa (effetto Glagow) che avviene nel corso della progressione della patologia aterosclerotica. Al contrario, l’ultrasonografia B-mode si è evoluta a tal punto che le pareti delle arterie superficiali possono essere visualizzate non invasivamente in tempo reale con una risoluzione estremamente elevata. Importanti studi osservazionali e trial clinici di intervento terapeutico, volti a valutare la possibilità di ridurre la progressione o indurre la regressione della patologia aterosclerotica, hanno stabilito che lo spessore del complesso medio intimale (IMT, dall’inglese: “Intima Media Thickness”) misurato mediante questa tecnica, è un valido marker surrogato per studiare la progressione della malattia aterosclerotica e l’efficacia di interventi terapeutici. Poiché è stato mostrato essere un predittore indipendente di malattia cardiovascolare anche dopo aggiustamento per i diversi fattori di rischio, l’IMT carotideo è l’unico test diagnostico non invasivo attualmente accettato dalla American Heart Association per essere incluso nella valutazione del rischio cardiovascolare globale. Inoltre, le variazioni dell’IMT e del diametro del lume arterioso carotideo, misurato mediante ultrasonografia B-mode ad alta risoluzione sono, assieme all’angiografia coronarica, gli unici markers surrogato di progressione di aterosclerosi riconosciuto dalle autorità regolatorie negli Stati Uniti e in Europa. A differenza di angiografia e flussimetria-Doppler l’imaging ultrasonografico può visualizzare la parete arteriosa in ogni stadio della patologia, dal reperto considerato “normale” alla completa occlusione arteriosa. Lo spessore della parete arteriosa può essere quindi misurato come variabile continua dalle prime alle ultime decadi di età, in pazienti cosi come in soggetti sani. Grazie alla sua completa non invasività, la misurazione dell’IMT può essere usata in studi osservazionali nella popolazione sana come pure per valutare l’efficacia di interventi terapeutici in trial clinici di regressione dell’aterosclerosi.

Lo spessore intima-media della carotide come end-point surrogato di eventi cardiovascolari negli studi di intervento / D. Baldassarre. ((Intervento presentato al convegno Convegno Regionale ANCE Lombardia (Cuore e Stroke) tenutosi a Milano nel 2010.

Lo spessore intima-media della carotide come end-point surrogato di eventi cardiovascolari negli studi di intervento

D. Baldassarre
Primo
2010

Abstract

L’aterosclerosi è una malattia generalizzata della parete arteriosa che può progredire o regredire in funzione di una miscellanea di fattori. È un processo dinamico, caratterizzato da modifiche della parete arteriosa che possono restare silenti per tutta la vita o manifestarsi clinicamente con episodi vascolari acuti. Poiché la progressione della patologia aterosclerotica avviene in decenni e poiché l’episodio vascolare acuto è un evento relativamente raro, gli studi epidemiologici e i trials clinici volti a valutare i determinanti della malattia o l’effetto di interventi terapeutici richiedono lunghi periodi di follow-up, un numero elevato di partecipanti e, di conseguenza, costi estremamente elevati. Per superare questi limiti, negli ultimi anni un interesse primario è stato rivolto all’identificazione di marker surrogati di patologia aterosclerotica. La validità di un marker surrogato quale sostituto dell’endpoint clinico dipende da tre condizioni: 1) deve essere più sensibile, meno raro e più facile da valutare (preferibilmente con tecniche non invasive) dell’endpoint clinico che deve sostituire, 2) la relazione causale tra il marker surrogato e l’endpoint clinico deve essere stabilito sulla base di studi epidemiologici, fisiopatologici e clinici (ad es. è prerequisito essenziale che il paziente con e senza malattia vascolare esibisca differenze nella misura del marker surrogato), 3) negli studi di intervento, il beneficio clinico deve essere deducibile dalle variazioni osservate nel marker surrogato. Una volta validato, un marker surrogato può essere utilizzato per valutare i determinanti della malattia, così come l’efficacia di nuovi interventi terapeutici, con costi e tempi inferiori rispetto a quelli necessari per valutare l’endpoint clinico. Un altro aspetto estremamente favorevole nell’uso di un marker surrogato rispetto all’utilizzo diretto dell’endpoint clinico sta nel fatto che il primo può fornire informazioni fisiopatologiche ad uno stadio molto più precoce del processo patologico. I primi markers surrogato ad essere utilizzati sono stati l’angiografia e la flussimetria Doppler. Nonostante l’indubbia rilevanza clinica, queste tecniche non forniscono informazioni utili nelle fasi iniziali della patologia quando sono presenti solo ispessimenti di parete precedenti la formazione di lesioni vere e proprie. Il doppler può identificare una stenosi solo quando c’è una riduzione del 40-50% dell’area del lume e l’angiografia può visualizzare variazioni del diametro del lume solo in stadi molto tardivi del processo patologico. Entrambe le tecniche, inoltre, sono inadeguate in considerazione dell’iniziale rimodellamento della parete arteriosa (effetto Glagow) che avviene nel corso della progressione della patologia aterosclerotica. Al contrario, l’ultrasonografia B-mode si è evoluta a tal punto che le pareti delle arterie superficiali possono essere visualizzate non invasivamente in tempo reale con una risoluzione estremamente elevata. Importanti studi osservazionali e trial clinici di intervento terapeutico, volti a valutare la possibilità di ridurre la progressione o indurre la regressione della patologia aterosclerotica, hanno stabilito che lo spessore del complesso medio intimale (IMT, dall’inglese: “Intima Media Thickness”) misurato mediante questa tecnica, è un valido marker surrogato per studiare la progressione della malattia aterosclerotica e l’efficacia di interventi terapeutici. Poiché è stato mostrato essere un predittore indipendente di malattia cardiovascolare anche dopo aggiustamento per i diversi fattori di rischio, l’IMT carotideo è l’unico test diagnostico non invasivo attualmente accettato dalla American Heart Association per essere incluso nella valutazione del rischio cardiovascolare globale. Inoltre, le variazioni dell’IMT e del diametro del lume arterioso carotideo, misurato mediante ultrasonografia B-mode ad alta risoluzione sono, assieme all’angiografia coronarica, gli unici markers surrogato di progressione di aterosclerosi riconosciuto dalle autorità regolatorie negli Stati Uniti e in Europa. A differenza di angiografia e flussimetria-Doppler l’imaging ultrasonografico può visualizzare la parete arteriosa in ogni stadio della patologia, dal reperto considerato “normale” alla completa occlusione arteriosa. Lo spessore della parete arteriosa può essere quindi misurato come variabile continua dalle prime alle ultime decadi di età, in pazienti cosi come in soggetti sani. Grazie alla sua completa non invasività, la misurazione dell’IMT può essere usata in studi osservazionali nella popolazione sana come pure per valutare l’efficacia di interventi terapeutici in trial clinici di regressione dell’aterosclerosi.
12-giu-2010
Settore BIO/14 - Farmacologia
Lo spessore intima-media della carotide come end-point surrogato di eventi cardiovascolari negli studi di intervento / D. Baldassarre. ((Intervento presentato al convegno Convegno Regionale ANCE Lombardia (Cuore e Stroke) tenutosi a Milano nel 2010.
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