La figura estrema della vittima, nell’era della globalizzazione, è lo schiavo ed anche i sistemi giuridici internazionali, con la Convenzione ONU del 2000 e con quella del Consiglio d’Europa del 2005, si sono adattati, dall’inizio del nuovo secolo, ai mutati processi di vittimizzazione che riducono, sempre più di frequente, i migranti in condizioni di asservimento. In questo articolo l’autore analizza la condizione sociale della vittima-schiavo, a partire dalle ricerche condotte in Italia, mostrando come le evidenze empiriche smentiscono le ipotesi criminologiche secondo cui il semplice coinvolgimento nel rito del processo sia condizione necessaria e sufficiente a liberare le vittime-schiavi dalla loro condizione di inferiorità e sottomissione; al contrario la vittima è in grado di uscire dalla sua condizione di deuteragonismo sociale, termine proposto per indicare la peculiare condizione di minorità sociale e strutturale rilevata nelle ricerche empiriche, solo se il rischio di stigmatizzazione viene ridotto grazie all’opera di agenzie di promozione sociale che puntino al recupero di una identità positiva delle vittime. Appaiono, invece, per lo più ininfluenti le misure di sostegno assistenziale alle vittime che di traducono in meri trasferimenti monetari; tali misure offrono opportunità reali solo se gli enti pubblici erogatori dei sussidi economici operano in rete con le agenzie sociali che siano in grado di inibire i processi di stigmatizzazione e generare aspettative positive di socializzazione e protagonismo.
Vittime e nuovi schiavi : il rischio dello stigma sociale / M.A. Quiroz Vitale. - In: SOCIOLOGIA DEL DIRITTO. - ISSN 0390-0851. - 2010:2(2010), pp. 25-44.
Vittime e nuovi schiavi : il rischio dello stigma sociale
M.A. Quiroz VitalePrimo
2010
Abstract
La figura estrema della vittima, nell’era della globalizzazione, è lo schiavo ed anche i sistemi giuridici internazionali, con la Convenzione ONU del 2000 e con quella del Consiglio d’Europa del 2005, si sono adattati, dall’inizio del nuovo secolo, ai mutati processi di vittimizzazione che riducono, sempre più di frequente, i migranti in condizioni di asservimento. In questo articolo l’autore analizza la condizione sociale della vittima-schiavo, a partire dalle ricerche condotte in Italia, mostrando come le evidenze empiriche smentiscono le ipotesi criminologiche secondo cui il semplice coinvolgimento nel rito del processo sia condizione necessaria e sufficiente a liberare le vittime-schiavi dalla loro condizione di inferiorità e sottomissione; al contrario la vittima è in grado di uscire dalla sua condizione di deuteragonismo sociale, termine proposto per indicare la peculiare condizione di minorità sociale e strutturale rilevata nelle ricerche empiriche, solo se il rischio di stigmatizzazione viene ridotto grazie all’opera di agenzie di promozione sociale che puntino al recupero di una identità positiva delle vittime. Appaiono, invece, per lo più ininfluenti le misure di sostegno assistenziale alle vittime che di traducono in meri trasferimenti monetari; tali misure offrono opportunità reali solo se gli enti pubblici erogatori dei sussidi economici operano in rete con le agenzie sociali che siano in grado di inibire i processi di stigmatizzazione e generare aspettative positive di socializzazione e protagonismo.Pubblicazioni consigliate
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