Il protrarsi della crisi espone naturalmente le imprese (artigiane e non) al rischio di una crescente insostenibilità finanziaria e alla conseguente cessazione, nonché alla drastica riduzione della base produttiva. Nel 2009, secondo i dati Unioncamere, non c’è stata debacle ma una limitata contrazione delle iscrizioni, laddove le cessazioni sono statein linea con il trend degli anni precedenti. I dati di demografia aziendale non sono probabilmente gli indicatori più adeguati per misurare l’impatto della crisi su imprese perlopiù poco strutturate, dove il titolare è nel medesimo tempo proprietario, “manager” e lavoratore. E’ qualcosa di più che una congettura ipotizzare che una quota di lavoratori dipendenti espulsi dal ciclo produttivo nei prossimi anni possa investire le risorse della buonuscita e della liquidazione per mettersi in proprio, alimentando il flusso delle iscrizioni all’Albo delle imprese artigiane, come già accaduto in altre congiunture negative del passato. Sul versante delle possibili cessazioni, non necessariamente le imprese molecolari reagiscono alle situazioni di difficoltà estrema chiudendo (anche perché per molti le alternative occupazionali – in un contesto di crisi - sarebbero limitate). Più realisticamente, un’ampia quota di imprese si troverà nella condizione di gestire con altri mezzi la contrazione delle commesse e la riduzione del mercato. E’ lecito attendersi una riduzione degli occupati alle dipendenze, anche se l’ampliamento del campo di applicazione degli ammortizzatori in deroga (come si è visto molto utilizzati) e la riserva complementare di sostegno al reddito dell’Ente Bilaterale hanno finora offerto a imprese e lavoratori un salvagente prezioso. Per il resto è probabile che molti imprenditori staranno sul mercato comprimendo aspettative di guadagno, congelando gli investimenti, accettando una revisione al ribasso del valore delle loro produzioni. Se questo è lo scenario, non già la moria delle imprese ma la svalutazione delle loro produzioni rischiano di diventare norma nella piccola impresa e del lavoro artigiano. Negli ultimissimi mesi (a rilevazione già avvenuta) si sono colti segnali di disgelo dell’economia nazionale e regionale, per quanto troppo deboli per autorizzare l’ipotesi di una vera risalita della china, in ogni caso da tutti prevista come lunga e accidentata. Una parte delle imprese avrà tuttavia la possibilità di agganciare il trend, riacquisendo fiducia e motivazioni per innovare processi e prodotti attraverso opportuni investimenti. Per queste ragioni il ruolo delle politiche industriali, oltre che le risorse destinate agli ammortizzatori sociali, sarà di estrema importanza.

L'evoluzione dell'artigianato / S. Cominu, E. Armano, V. Ferrero - In: Piemonte economico sociale 2009 : i dati e i commenti sulla Regione : relazione annuale sulla situazione economica, sociale e territoriale del Piemonte nel 2009Torino : IRES Piemonte, 2010. - pp. 86-90

L'evoluzione dell'artigianato

E. Armano
Secondo
;
2010

Abstract

Il protrarsi della crisi espone naturalmente le imprese (artigiane e non) al rischio di una crescente insostenibilità finanziaria e alla conseguente cessazione, nonché alla drastica riduzione della base produttiva. Nel 2009, secondo i dati Unioncamere, non c’è stata debacle ma una limitata contrazione delle iscrizioni, laddove le cessazioni sono statein linea con il trend degli anni precedenti. I dati di demografia aziendale non sono probabilmente gli indicatori più adeguati per misurare l’impatto della crisi su imprese perlopiù poco strutturate, dove il titolare è nel medesimo tempo proprietario, “manager” e lavoratore. E’ qualcosa di più che una congettura ipotizzare che una quota di lavoratori dipendenti espulsi dal ciclo produttivo nei prossimi anni possa investire le risorse della buonuscita e della liquidazione per mettersi in proprio, alimentando il flusso delle iscrizioni all’Albo delle imprese artigiane, come già accaduto in altre congiunture negative del passato. Sul versante delle possibili cessazioni, non necessariamente le imprese molecolari reagiscono alle situazioni di difficoltà estrema chiudendo (anche perché per molti le alternative occupazionali – in un contesto di crisi - sarebbero limitate). Più realisticamente, un’ampia quota di imprese si troverà nella condizione di gestire con altri mezzi la contrazione delle commesse e la riduzione del mercato. E’ lecito attendersi una riduzione degli occupati alle dipendenze, anche se l’ampliamento del campo di applicazione degli ammortizzatori in deroga (come si è visto molto utilizzati) e la riserva complementare di sostegno al reddito dell’Ente Bilaterale hanno finora offerto a imprese e lavoratori un salvagente prezioso. Per il resto è probabile che molti imprenditori staranno sul mercato comprimendo aspettative di guadagno, congelando gli investimenti, accettando una revisione al ribasso del valore delle loro produzioni. Se questo è lo scenario, non già la moria delle imprese ma la svalutazione delle loro produzioni rischiano di diventare norma nella piccola impresa e del lavoro artigiano. Negli ultimissimi mesi (a rilevazione già avvenuta) si sono colti segnali di disgelo dell’economia nazionale e regionale, per quanto troppo deboli per autorizzare l’ipotesi di una vera risalita della china, in ogni caso da tutti prevista come lunga e accidentata. Una parte delle imprese avrà tuttavia la possibilità di agganciare il trend, riacquisendo fiducia e motivazioni per innovare processi e prodotti attraverso opportuni investimenti. Per queste ragioni il ruolo delle politiche industriali, oltre che le risorse destinate agli ammortizzatori sociali, sarà di estrema importanza.
micro, piccole e medie imprese ; capitalismo molecolare ; crisi ; politiche pubbliche
Settore SPS/09 - Sociologia dei Processi economici e del Lavoro
2010
http://www.regiotrend.piemonte.it/site/index.php?option=com_content&view=article&id=160&Itemid=140
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