Tra i diversi gruppi sociali che dedicarono la propria vita attiva al servizio degli Asburgo d’Austria nel Settecento una categoria significativa fu quella dei militari. L’esercito, grazie anche alla riorganizzazione messa in atto durante le guerre di successione, divenne una componente essenziale del rafforzamento del dominio degli Asburgo, trasformandosi da un esercito di tipo feudale in un esercito professionale al servizio del sovrano. Così, da una congerie di contingenti, parte reclutati dall’imperatore e parte inviati dai ceti territoriali e guidati da colonnelli-proprietari, secondo il modello organizzativo costituitosi durante la guerra dei Trent’anni, l’esercito asburgico si trasformò in un importante elemento che contribuì a catalizzare un crescente attaccamento alla dinastia e l’emergere di un senso dello Stato presso diversi gruppi sociali. Le riforme dell’organizzazione militare attuate nel corso del XVIII secolo in molti stati europei ebbero sovente avvio con una riorganizzazione dei corpi tecnici, attuata mediante la fondazione di accademie per promuovere la formazione scientifica e la confluenza al termine degli studi nei relativi corpi specializzati di nuova costituzione. Nei domini asburgici queste riforme ebbero importanti ricadute sulla vita politica e sociale, in parte dovute al carattere plurinazionale dell’esercito. Nelle brigate di ingegneri fondate nel Settecento confluivano esperti di provenienza nazionale eterogenea, formatisi in accademie statali, che erano inviati nei diversi domini e inquadrati in un corpo specializzato unitario, cui fu imposto progressivamente di adottare criteri uniformi nella propria attività; quindi un effetto indiretto di tali innovazioni risedette in una maggiore integrazione fra gli uomini e le pratiche militari in uso presso i diversi domini asburgici, e nella formazione di personale tecnico proveniente dai diversi territori appartenenti alla monarchia che tendeva ad identificarsi nel servizio al sovrano. Il corpo del genio fu organizzato nel 1747, composto di quattro brigate, ciascuna con una propria competenza territoriale per Germania, Ungheria, Italia, Belgio, e fu affidato alla guida del colonnello Ferdinand de Bohn, nominato pro-direttore alle fortificazioni, mentre la direzione generale restava riservata al duca Carlo di Lorena. Con la fondazione delle quattro brigate degli ingegneri si perseguiva l’intento di armonizzare l’organizzazione di un settore dell’esercito che era chiamato ad agire contemporaneamente su scala locale, con la manutenzione e l’edificazione delle piazzeforti, e internazionale, con la mobilitazione degli ingegneri nelle campagne militari in tempo di guerra. I migliori ingegneri dislocati nelle piazzeforti in caso di guerra potevano essere inviati in servizio nell’esercito campale. Si stabiliva quindi un certo legame tra ingegneria d’assedio e riordino delle piazzeforti, e a lungo andare la dipendenza delle quattro brigate da un’unica direzione generale sortiva l’effetto di una graduale uniformazione dei sistemi vigenti nei diversi domini austriaci in tema di fortificazioni. Ad un esame ravvicinato del personale appartenente alla brigata italiana emerge un’origine nazionale assai composita; si può dire che esso rispecchiasse, accentuandola molto, l’eterogeneità dell’esercito imperiale. Nella brigata italiana interveniva però in particolare la variante di una sovrarappresentazione della componente belga, forse dipendente dalla precoce organizzazione locale dell’accademia e del corpo del genio e dal fatto che Carlo di Lorena risiedeva a Bruxelles come governatore. Per la nomina degli ingegneri militari la formazione sul campo di battaglia e, nella seconda metà del secolo, il titolo professionale acquisito all’accademia, si dimostrarono criteri più importanti di selezione rispetto all’origine cetuale e nazionale. Da un lato questi impieghi avevano assunto una connotazione più nettamente militare, e per questo motivo si presentavano come un servizio reso al sovrano nell’esercito imperial-regio svincolato dalle maglie del particolarismo dello Stato regionale-cittadino, dall’altro il livello intermedio di queste professioni tecniche le rendeva meno ambite dalle famiglie più eminenti, e quindi contribuiva a sottrarle alla provvista di posti che, anche per alcune cariche militari stanziali, si tendeva a riservare ai patriziati cittadini. Questo insieme di concause contribuì a creare un corpo specializzato plurinazionale sempre più regolamentato da ordinamenti unitari in tutto l’Impero asburgico. Dopo un periodo di avvio piuttosto incerto delle attività degli ingegneri, Maria Teresa, in risposta alle pressioni del plenipotenziario Beltrame Cristiani, concesse alla Lombardia Austriaca un sistema che si discostava parzialmente da quello vigente nelle altre province: gli ingegneri della brigata d’Italia per la presentazione dei loro progetti annuali non dovevano più dipendere direttamente dal pro-direttore generale del genio, Ferdinand de Bohn, ma dal ministro plenipotenziario Cristiani. Questi avrebbe ricevuto i progetti, li avrebbe trasmessi al de Bohn, che li avrebbe inviati al consiglio aulico di guerra per l’approvazione. Sempre il plenipotenziario avrebbe curato la realizzazione delle opere approvate e la tenuta della cassa. In sostanza, a differenza del metodo attuato nelle altre province, in Lombardia fu riconosciuto al governo del plenipotenziario un ruolo direttivo e intermediario rispetto agli organi militari viennesi in tema di piazzeforti. In fasi diverse, a partire dal 1760 con la successione a Ferdinand de Bohn del conte Ferdinand Amadäus Harrsch, e dieci anni dopo del Feldmaresciallo Carlo Pellegrini, le quattro brigate furono unificate. A partire dal 1763 il soldo degli ingegneri fu posto a carico della cassa di guerra e non più di quella delle province. Anche questa decisione andava nella direzione di una considerazione degli ingegneri militari come di un corpo appartenente all’esercito, e quindi retribuito insieme alle altre armi, e non dalle province in cui era in attività. La tendenza che si andava affermando a partire dai decenni dopo la guerra di successione austriaca era rivolta al rinnovamento di un esercito plurinazionale, che si voleva più rispondente “ai nostri usi di Germania”, come spesso si legge nei dispacci inviati a Milano. Un esercito cioè che doveva essere ispirato a criteri il più possibile uniformi di organizzazione anche a livello territoriale, presupposto necessario per promuoverne l’efficienza, senza dimenticare il problema del Glück der Soldaten, declinazione in campo militare del tema della “pubblica felicità”. Questa nuova prospettiva a lungo andare sortì l’effetto di promuovere una maggiore identificazione dei militari nel servizio al sovrano. Agli ingegneri della brigata fu demandato il compito di adattare il sistema lombardo ai nuovi ordini, cioè da un lato si occuparono della dismissione del patrimonio immobile militare definito inutile, dall’altro, all’opposto, collaborarono a progettare la poderosa militarizzazione della città di Mantova. Assurta al ruolo di piazza militare d’Italia nel 1753, nella seconda metà del secolo Mantova fu al centro di lavori di ampia portata, che la trasformarono da città-capitale di uno Stato in una sorta di città-caserma, prefigurando l’importanza strategica che avrebbe assunto nell’Ottocento. Ville, palazzi signorili e conventi furono adattati in funzione delle necessità militari. Anche vecchi complessi gonzagheschi divenuti di proprietà camerale furono convertiti ad usi bellici. Alle opere di vera e propria fortificazione si collegarono quelle di sistemazione idraulica, che univano scopi difensivi e civili. Protagonista di questa stagione di trasformazioni delle opere militari, idrauliche ed urbanistiche mantovane fu l’ingegnere Nicolò Baschiera, divenuto nel 1779 colonnello ingegnere e posto a capo della sezione italiana della brigata. A questa nuova generazione di ingegneri militari inquadrati nel corpo del genio fu demandato l’adattamento del sistema di piazzeforti ereditate dal passato a nuovi modi di concepire il territorio. Un territorio che andava considerato in modo unitario, in quanto territorio dello Stato, superando le tradizionali contrapposizioni tra città e contadi, che gli ingegneri erano chiamati a trattare come un oggetto da conoscere e da modificare attraverso saperi diversi, per predisporre un efficiente apparato militare che integrasse l’intera area geo-politica posta entro i confini.

Ingegneri militari italiani, austriaci e belgi in Lombardia nel XVIII secolo / A. Dattero - In: Le corti come luogo di comunicazione : gli Asburgo e l'Italia, secoli 16.-19. / [a cura di] M. Bellabarba, J. P. Niederkorn. - 2010. - Bologna : Il Mulino, 2010. - ISBN 978-88-15-13978-8. - pp. 177-194

Ingegneri militari italiani, austriaci e belgi in Lombardia nel XVIII secolo

A. Dattero
Primo
2010

Abstract

Tra i diversi gruppi sociali che dedicarono la propria vita attiva al servizio degli Asburgo d’Austria nel Settecento una categoria significativa fu quella dei militari. L’esercito, grazie anche alla riorganizzazione messa in atto durante le guerre di successione, divenne una componente essenziale del rafforzamento del dominio degli Asburgo, trasformandosi da un esercito di tipo feudale in un esercito professionale al servizio del sovrano. Così, da una congerie di contingenti, parte reclutati dall’imperatore e parte inviati dai ceti territoriali e guidati da colonnelli-proprietari, secondo il modello organizzativo costituitosi durante la guerra dei Trent’anni, l’esercito asburgico si trasformò in un importante elemento che contribuì a catalizzare un crescente attaccamento alla dinastia e l’emergere di un senso dello Stato presso diversi gruppi sociali. Le riforme dell’organizzazione militare attuate nel corso del XVIII secolo in molti stati europei ebbero sovente avvio con una riorganizzazione dei corpi tecnici, attuata mediante la fondazione di accademie per promuovere la formazione scientifica e la confluenza al termine degli studi nei relativi corpi specializzati di nuova costituzione. Nei domini asburgici queste riforme ebbero importanti ricadute sulla vita politica e sociale, in parte dovute al carattere plurinazionale dell’esercito. Nelle brigate di ingegneri fondate nel Settecento confluivano esperti di provenienza nazionale eterogenea, formatisi in accademie statali, che erano inviati nei diversi domini e inquadrati in un corpo specializzato unitario, cui fu imposto progressivamente di adottare criteri uniformi nella propria attività; quindi un effetto indiretto di tali innovazioni risedette in una maggiore integrazione fra gli uomini e le pratiche militari in uso presso i diversi domini asburgici, e nella formazione di personale tecnico proveniente dai diversi territori appartenenti alla monarchia che tendeva ad identificarsi nel servizio al sovrano. Il corpo del genio fu organizzato nel 1747, composto di quattro brigate, ciascuna con una propria competenza territoriale per Germania, Ungheria, Italia, Belgio, e fu affidato alla guida del colonnello Ferdinand de Bohn, nominato pro-direttore alle fortificazioni, mentre la direzione generale restava riservata al duca Carlo di Lorena. Con la fondazione delle quattro brigate degli ingegneri si perseguiva l’intento di armonizzare l’organizzazione di un settore dell’esercito che era chiamato ad agire contemporaneamente su scala locale, con la manutenzione e l’edificazione delle piazzeforti, e internazionale, con la mobilitazione degli ingegneri nelle campagne militari in tempo di guerra. I migliori ingegneri dislocati nelle piazzeforti in caso di guerra potevano essere inviati in servizio nell’esercito campale. Si stabiliva quindi un certo legame tra ingegneria d’assedio e riordino delle piazzeforti, e a lungo andare la dipendenza delle quattro brigate da un’unica direzione generale sortiva l’effetto di una graduale uniformazione dei sistemi vigenti nei diversi domini austriaci in tema di fortificazioni. Ad un esame ravvicinato del personale appartenente alla brigata italiana emerge un’origine nazionale assai composita; si può dire che esso rispecchiasse, accentuandola molto, l’eterogeneità dell’esercito imperiale. Nella brigata italiana interveniva però in particolare la variante di una sovrarappresentazione della componente belga, forse dipendente dalla precoce organizzazione locale dell’accademia e del corpo del genio e dal fatto che Carlo di Lorena risiedeva a Bruxelles come governatore. Per la nomina degli ingegneri militari la formazione sul campo di battaglia e, nella seconda metà del secolo, il titolo professionale acquisito all’accademia, si dimostrarono criteri più importanti di selezione rispetto all’origine cetuale e nazionale. Da un lato questi impieghi avevano assunto una connotazione più nettamente militare, e per questo motivo si presentavano come un servizio reso al sovrano nell’esercito imperial-regio svincolato dalle maglie del particolarismo dello Stato regionale-cittadino, dall’altro il livello intermedio di queste professioni tecniche le rendeva meno ambite dalle famiglie più eminenti, e quindi contribuiva a sottrarle alla provvista di posti che, anche per alcune cariche militari stanziali, si tendeva a riservare ai patriziati cittadini. Questo insieme di concause contribuì a creare un corpo specializzato plurinazionale sempre più regolamentato da ordinamenti unitari in tutto l’Impero asburgico. Dopo un periodo di avvio piuttosto incerto delle attività degli ingegneri, Maria Teresa, in risposta alle pressioni del plenipotenziario Beltrame Cristiani, concesse alla Lombardia Austriaca un sistema che si discostava parzialmente da quello vigente nelle altre province: gli ingegneri della brigata d’Italia per la presentazione dei loro progetti annuali non dovevano più dipendere direttamente dal pro-direttore generale del genio, Ferdinand de Bohn, ma dal ministro plenipotenziario Cristiani. Questi avrebbe ricevuto i progetti, li avrebbe trasmessi al de Bohn, che li avrebbe inviati al consiglio aulico di guerra per l’approvazione. Sempre il plenipotenziario avrebbe curato la realizzazione delle opere approvate e la tenuta della cassa. In sostanza, a differenza del metodo attuato nelle altre province, in Lombardia fu riconosciuto al governo del plenipotenziario un ruolo direttivo e intermediario rispetto agli organi militari viennesi in tema di piazzeforti. In fasi diverse, a partire dal 1760 con la successione a Ferdinand de Bohn del conte Ferdinand Amadäus Harrsch, e dieci anni dopo del Feldmaresciallo Carlo Pellegrini, le quattro brigate furono unificate. A partire dal 1763 il soldo degli ingegneri fu posto a carico della cassa di guerra e non più di quella delle province. Anche questa decisione andava nella direzione di una considerazione degli ingegneri militari come di un corpo appartenente all’esercito, e quindi retribuito insieme alle altre armi, e non dalle province in cui era in attività. La tendenza che si andava affermando a partire dai decenni dopo la guerra di successione austriaca era rivolta al rinnovamento di un esercito plurinazionale, che si voleva più rispondente “ai nostri usi di Germania”, come spesso si legge nei dispacci inviati a Milano. Un esercito cioè che doveva essere ispirato a criteri il più possibile uniformi di organizzazione anche a livello territoriale, presupposto necessario per promuoverne l’efficienza, senza dimenticare il problema del Glück der Soldaten, declinazione in campo militare del tema della “pubblica felicità”. Questa nuova prospettiva a lungo andare sortì l’effetto di promuovere una maggiore identificazione dei militari nel servizio al sovrano. Agli ingegneri della brigata fu demandato il compito di adattare il sistema lombardo ai nuovi ordini, cioè da un lato si occuparono della dismissione del patrimonio immobile militare definito inutile, dall’altro, all’opposto, collaborarono a progettare la poderosa militarizzazione della città di Mantova. Assurta al ruolo di piazza militare d’Italia nel 1753, nella seconda metà del secolo Mantova fu al centro di lavori di ampia portata, che la trasformarono da città-capitale di uno Stato in una sorta di città-caserma, prefigurando l’importanza strategica che avrebbe assunto nell’Ottocento. Ville, palazzi signorili e conventi furono adattati in funzione delle necessità militari. Anche vecchi complessi gonzagheschi divenuti di proprietà camerale furono convertiti ad usi bellici. Alle opere di vera e propria fortificazione si collegarono quelle di sistemazione idraulica, che univano scopi difensivi e civili. Protagonista di questa stagione di trasformazioni delle opere militari, idrauliche ed urbanistiche mantovane fu l’ingegnere Nicolò Baschiera, divenuto nel 1779 colonnello ingegnere e posto a capo della sezione italiana della brigata. A questa nuova generazione di ingegneri militari inquadrati nel corpo del genio fu demandato l’adattamento del sistema di piazzeforti ereditate dal passato a nuovi modi di concepire il territorio. Un territorio che andava considerato in modo unitario, in quanto territorio dello Stato, superando le tradizionali contrapposizioni tra città e contadi, che gli ingegneri erano chiamati a trattare come un oggetto da conoscere e da modificare attraverso saperi diversi, per predisporre un efficiente apparato militare che integrasse l’intera area geo-politica posta entro i confini.
Ingegneri militari ; Lombardia Austriaca ; 18. secolo
Settore M-STO/02 - Storia Moderna
2010
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